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Sentenza n. 240/2015 (1/2016)

Il principio di retroattività della lex mitior non concerne le norme penali di natura processuale

Sentenza n. 240/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 26 novembre 2015 – Pubblicazione in G.U. del 02/12/2015, n. 48

  

Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 240 del 2015 la Corte costituzionale, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate dal Tribunale ordinario di Torino in riferimento agli articoli 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’articolo 7 della CEDU, fornisce alcune precisazioni in ordine all’ambito di applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole.  

Il ricorso sollevato dal giudice rimettente originava dalla recente introduzione, ad opera della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di sospensione di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio), dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli adulti, in base al quale l’imputato ha accesso ad un programma di trattamento che prevede una serie di attività obbligatorie, quali l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, l’attuazione di condotte riparative volte a eliminare le conseguenze dannose del reato, il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, un’attività di mediazione con la vittima del reato. L’esito positivo della prova determina l’estinzione del reato per il quale si procede.

Ad avviso del giudice a quo, la previsione di termini diversi, articolati secondo le sequenze procedimentali dei vari riti processuali, entro i quali l’imputato, a pena di decadenza, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, produrrebbe una irragionevole discriminazione nei confronti di imputati che, versando nelle medesime condizioni sostanziali, si trovino al momento dell’entrata in vigore della nuova legge in differenti fasi del processo di primo grado. La mancanza di una norma transitoria per i procedimenti pendenti violerebbe non solo il principio di uguaglianza, ma risulterebbe altresì in contrasto, secondo il giudice rimettente, con gli articoli 24 e 111 Cost., nonché «con il principio di rango costituzionale – attraverso il parametro interposto di cui all’art. 117 Cost., sancito dall’art. 7 CEDU (cfr. sentenza della Corte EDU 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, resa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo) – della retroattività della lex mitior».

Nel dichiarare infondate le questioni di legittimità sollevate in riferimento al nuovo istituto, la Corte costituzionale ha, in primo luogo, esaminato i profili concernenti l’asserita violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Ad avviso dei giudici costituzionali, il tribunale rimettente, muovendo da un erroneo presupposto, ha fatto discendere dalle «medesime condizioni sostanziali» degli imputati e dagli effetti di carattere sostanziale prodotti dalla sospensione del procedimento con messa alla prova l’illegittimità della disciplina processuale di tale istituto. Di contro, prosegue la Corte, «in una prospettiva processuale […] ben si giustifica la scelta legislativa di parificare la disciplina del termine per la richiesta», posto che il legislatore, prendendo a riferimento lo stato di avanzamento del procedimento penale, «ha trattato in modo uguale situazioni processuali uguali». Il principio di retroattività della legge penale più favorevole – il quale si riferisce alla sopravvenienza di disposizioni di carattere sostanziale più favorevoli all’imputato – risulta, anzi, essere stato applicato nel caso di specie dal legislatore, posto che la disciplina concernente l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova si applica anche ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67.

Infine, la Corte, pronunciandosi sulla doglianza del giudice rimettente secondo cui la disciplina dell’istituto in esame contrasterebbe con l’articolo 7 della CEDU, ha colto l’occasione per avvalorare il proprio orientamento in ordine all’ambito di operatività del principio di retroattività della legge penale più favorevole (peraltro, già precedentemente espresso nella sentenza n. 236 del 2011) mediante il richiamo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia. La Corte di Strasburgo, nel riconoscere il principio della retroattività della lex mitior quale corollario del principio di legalità di cui all’articolo 7 della CEDU ha, infatti, fissato alcuni limiti in via interpretativa all’ambito di applicazione di tale principio, affermando che «le norme in materia di retroattività della lex mitior contenute nell’art. 7 della Convenzione» riguardano le sole «disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono» (decisione 27 aprile 2010, Morabito c. Italia; nello stesso senso, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia).

Il principio in questione concerne, dunque, le sole norme penali di carattere sostanziale, non trovando invece applicazione con riferimento alle norme penali aventi natura processuale.   

Osservatorio sulle fonti

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