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Sentenze nn. 238 e 239/2015 (1/2016)

Il principio dell’accordo nei rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni a statuto speciale non ha rango costituzionale e può, pertanto, essere derogato entro determinati limiti

Sentenze nn. 238 e 239/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 19 novembre 2015 – Pubblicazione in G.U. del 25/11/2015, n. 47

 

Motivo della segnalazione

Le due pronunce oggetto di segnalazione si collocano nell’ampio filone giurisprudenziale  concernente l’applicabilità, nei riguardi delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, delle disposizioni statali recanti principi di coordinamento della finanza pubblica.

Entrambe le pronunce originano dai ricorsi presentati dalle regioni ad autonomia speciale e dalle province autonome avverso, rispettivamente, l’articolo 1, commi 526 e 527, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), e l’articolo 1, commi 499, 500, 502 e 504 della medesima legge. Tuttavia, avendo le ricorrenti nelle more del giudizio raggiunto accordi con lo Stato aventi ad oggetto le disposizioni sopra citate, la Corte ha dichiarato cessata la materia del contendere nei riguardi di tutte le ricorrenti, fatta eccezione per la regione Sicilia che ha ritenuto, nonostante l’avvenuta conclusione di un accordo, di non rinunciare ai ricorsi presentati avverso i commi 499 e 526 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014).

Tra le diverse doglianze prospettate dalla regione Sicilia, presenta specifici profili di interesse la censura concernente il carattere unilaterale delle determinazioni assunte dallo Stato ai fini del concorso delle autonomie speciali agli obiettivi di finanza pubblica. Ad avviso della regione ricorrente, ciò si sarebbe tradotto nella violazione degli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, degli artt. 36 e 43 dello statuto speciale, dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 contenente le relative norme di attuazione, nonché del principio dell’accordo nei rapporti tra lo Stato e le regioni a statuto speciale, che a giudizio della regione Sicilia avrebbe «rango statutario ed imporrebbe di definire tramite intesa tra Stato e Regione le modalità» del concorso delle autonomie agli obiettivi di finanza pubblica.

Confermando l’orientamento maturato in una serie di precedenti pronunce, la Corte ha innanzitutto precisato che «per giurisprudenza costante, ribadita di recente anche nei confronti della Regione siciliana (sentenze n. 82, n. 77 e n. 46 del 2015), i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano, di regola, anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenza n. 36 del 2004; in seguito, sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004)», chiamati anch’essi a contribuire al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

Ciò premesso, la Corte ha ulteriormente chiarito che, ancorché non possa revocarsi in dubbio che i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali debbano essere governati dal principio dell’accordo, tale principio non ha ancora trovato recepimento all’interno degli statuti speciali e ad esso non può, pertanto, riconoscersi rango costituzionale. Ne deriva che il legislatore statale «specie in un contesto di grave crisi economica, […] può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012)».

Del resto, secondo i giudici costituzionali, l’articolo 27, comma 1, della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), il quale prevede che le autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base del principio dell’accordo secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, costituisce ulteriore riprova del rango ordinario del principio dell’accordo fintantoché non saranno adottate le previste norme di attuazione degli statuti; diversamente, una tale previsione apparirebbe priva di significato ove «le fonti dell’autonomia speciale avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il principio dell’accordo in forme opponibili al legislatore ordinario».

L’articolo 27, comma 1, della legge 5 maggio 2009, n. 42, è quindi derogabile da parte di successive disposizioni aventi pari forza normativa, ma con un importante limite derivante dalla «riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata» che la Corte ha ritenuto discendere dal sopra citato articolo 27 (sentenza n. 71 del 2012), il cui rinvio alle disposizioni di attuazione degli statuti speciali si configura «quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012)». Il legislatore statale può, quindi, legittimamente disporre in deroga al principio dell’accordo, ma sempre che tale deroga non si traduca «da transitoria eccezione, in stabile allontanamento dalle procedure previste» dall’articolo 27, comma 1, della legge n. 42 del 2009.

Osservatorio sulle fonti

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