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Causa T-754/14 Stop TTIP – Sull’ammissibilità di un’iniziativa dei cittadini UE relativa alla revoca del mandato ad avviare i negoziati per la conclusione di un accordo internazionale (2/2017)

Causa T-754/14 Stop TTIP – Sull’ammissibilità di un’iniziativa dei cittadini UE relativa alla revoca del mandato ad avviare i negoziati per la conclusione di un accordo internazionale o all’adozione di una decisione che neghi l’autorizzazione a firmare o concludere l’accordo

Sentenza del Tribunale (prima sezione) del 10 maggio 2017, Stop TTIP, ECLI:EU:T:2017:323

Nella sentenza Stop TTIP, il Tribunale dell’Unione, pronunciandosi sull’annullamento della decisione della Commissione europea di non procedere alla registrazione di una proposta di iniziativa dei cittadini dell’Unione, ha fornito alcuni chiarimenti circa l’ambito applicativo e il contenuto dell’iniziativa. In particolare, il Tribunale ha stabilito che: 1) la nozione di atto giuridico di cui i cittadini UE possono chiedere l’adozione attraverso la proposta deve essere intesa in maniera ampia, e non può essere limitata ai soli atti giuridici dell’Unione a carattere definitivo e che producono effetti giuridici nei confronti dei terzi; 2) lo strumento dell’iniziativa dei cittadini UE può essere utilizzato anche per impedire l’adozione di un atto giuridico, o per chiedere la modifica di atti giuridici in vigore o la loro revoca, totale o parziale; 3) l’iniziativa dei cittadini europei non rappresenta un’ingerenza nello svolgimento della procedura legislativa, bensì essa costituisce un’espressione di partecipazione effettiva dei cittadini dell’Unione alla vita democratica di quest’ultima, senza compromettere l’equilibrio istituzionale voluto dai trattati.

Qualche mese dopo la sentenza Minority SafePack SafePack (3 febbraio 2017, causa T 646/13)1, il Tribunale dell’Unione europea è stato chiamato a pronunciarsi sulla validità della decisione della Commissione europea (di seguito, “Commissione”) relativa al rigetto della domanda di registrazione della proposta d’iniziativa dei cittadini UE (d’ora in avanti, “ICE”), denominata “Stop TTIP”. Nella sentenza Minority, infatti, il Tribunale, decidendo anche in questo caso sul ricorso in annullamento presentato da organizzatori di cittadini dell’Unione avverso la decisione della Commissione di negare la registrazione di una proposta di ICE, aveva annullato, per la prima volta, siffatta decisione sulla base di un motivo procedurale, ovvero la violazione dell’obbligo di fornire una motivazione adeguata per il rifiuto.

Con la sentenza Stop TTIP, il Tribunale ha compiuto un ulteriore passo in avanti, prendendo in esame non solo gli aspetti procedurali, ma anche il merito della questione sottoposta al suo esame, relativo ai limiti imposti dalla Commissione all’oggetto di una proposta di ICE perché questa possa essere registrata. Infatti, se tale proposta risponde a determinate condizioni individuate dal Regolamento n. 211/2011 riguardante l’iniziativa dei cittadini, la Commissione deve procedere alla sua registrazione, attribuendole un numero individuale e dandone notizia agli organizzatori. Al contrario, nel caso in cui accerti che tali requisiti non siano soddisfatti, la Commissione rifiuta la registrazione ed è tenuta ad informare gli organizzatori dei motivi di tale rifiuto.

Nel caso di specie, il comitato di cittadini dell’Unione aveva trasmesso alla Commissione, nel luglio 2014, una proposta di ICE denominata “Stop TTIP”, finalizzata a ottenere che la Commissione raccomandasse al Consiglio di annullare il mandato negoziale Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership; in prosieguo: il «TTIP») e di non concludere l’Accordo economico e commerciale globale (Comprehensive Economic and Trade Agreement; in prosieguo: il «CETA»). L’obiettivo perseguito era “di ostacolare il TTIP e il CETA poiché essi contengono vari aspetti critici” e il fondamento giuridico dell’iniziativa era individuato negli articoli 207 e 218 TFUE, relativi alla procedura di stipula di accordi internazionali in materia commerciale (par. 2). Infatti, con due distinte decisioni, il Consiglio aveva autorizzato la Commissione ad avviare negoziati sia con gli Stati Uniti d’America, finalizzati alla conclusione dell’accordo di libero scambio “Transatlantic Trade and Investiment Partnership” (TTIP), sia con il Canada, al fine di concludere l’accordo di libero scambio “Comprehensive Economic Trade Agreement” (CETA).

Nel settembre 2014, la Commissione aveva adottato una decisione con la quale rifiutava di procedere alla registrazione della proposta di ICE, sulla base dell’art. 4, par. 2 lett. b), in combinato disposto con l’art. 2, par. 1 del Regolamento (UE) n. 211/2011, ritenendo che la proposta esulasse dalla competenza della Commissione “in virtù della quale quest’ultima può presentare una proposta di atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati” (par. 6). In particolare, la Commissione aveva ritenuto che la proposta di ICE non potesse avere ad oggetto l’invito ad adottare un atto preparatorio ovvero a non proporre un determinato atto giuridico o a proporre una decisione di non adottare un determinato atto giuridico. Per quanto riguarda il primo aspetto, la Commissione aveva affermato che l’invito a sottoporre al Consiglio una raccomandazione di revoca dell’autorizzazione ad avviare negoziati alla conclusione del TTIP costituisse un atto preparatorio e non un atto giuridico dell’Unione, come invece richiesto dall’art. 11 par. 4, TUE e art. 2 par. 1 del Regolamento n. 211/2011. Infatti, “una decisione del Consiglio che autorizza la Commissione ad avviare negoziati finalizzati alla conclusione di un accordo con un paese terzo non costituisce un atto giuridico dell’Unione europea” ma solo un atto preparatorio che “produrrebbe effetti giuridici unicamente tra le istituzioni interessate”. Di conseguenza, una proposta di ICE che tende ad ottenere la revoca di tale decisione non costituisce – secondo la Commissione – una “proposta adeguata” ai sensi della normativa sopracitata, diversamente dalla decisione di firmare e concludere un determinato accordo potrebbe costituire l’oggetto di una proposta di ICE (par. 4).

La Commissione aveva inoltre ritenuto che l’invito a non proporre un determinato atto giuridico o a proporre una decisione di non adottare un determinato atto giuridico non avrebbe prodotto nessun effetto giuridico autonomo - come invece richiesto dall’art. 2 par. 1 del Regolamento n. 211/2011 - al di là di quello di non adottare l’atto in questione (par. 5).

I ricorrenti avevano quindi adito il Tribunale deducendo la violazione dell’art. 11, par. 4, TUE (secondo cui i cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione e che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possano prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, “a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengano necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati”), in combinato con gli artt. 2, par. 1 e 4 par. 2 lett. b) del Regolamento n.211/2011 relativi alle condizioni che la proposta di ICE deve soddisfare per poter essere registrata dalla Commissione2.

A sostegno della censura, i ricorrenti avevano sollevato tre diverse argomentazioni. In primo luogo, essi avevano rilevato che se da un lato, si ammette che “l’avvio dei negoziati finalizzati alla conclusione di un accordo internazionale sono atti preparatori”, dall’altro lato, anche “le decisioni del Consiglio che autorizzano la firma di un accordo internazionale” devono allora considerarsi tali,. In ogni caso, secondo i ricorrenti, il Regolamento n.211/2011 “riguarderebbe, in generale, tutti gli atti giuridici, senza alcuna limitazione agli atti che producono effetti definitivi, e né la genesi, né il contesto normativo delle disposizioni in oggetto indicherebbe che la nozione di “atto giuridico” sia da interpretare in maniera restrittiva” e comunque, una decisione di revoca del mandato negoziale a favore della Commissione porrebbe fine ai negoziati, e sarebbe quindi “giuridicamente vincolante e presenterebbe pertanto carattere definitivo” (par. 12). In secondo luogo, i ricorrenti avevano ritenuto che “la nozione ampia di atto giuridico di cui agli articoli da 288 a 292 TFUE vieta di negare tale qualifica alle decisioni della Commissione prese al di fuori della procedura legislativa ordinaria e di escludere queste ultime dall’ambito di applicazione delle disposizioni relative all’ICE, dal momento che tali decisioni sono giuridicamente vincolanti” (par. 13). Infine, i ricorrenti - facendo riferimento al presunto carattere “distruttivo” delle proposte, carenti quindi del requisito dell’attuazione dei trattati - avevano invece ritenuto che si trattasse di proposte di atti che “condurrebbero, in un modo o nell’altro, a rendere operative basi giuridiche di competenze derivate dal diritto primario” e quindi tali da contribuire all’attuazione dei trattati, ai sensi dell’art. 11 par. 4 TUE e dell’art. 2 par. 1 del regolamento n. 211/2011. Infatti, secondo i ricorrenti, “il diritto generale dei cittadini di partecipare alla vita dell’Unione include la facoltà di agire per modificare gli atti di diritto derivato in vigore, di riformarli o di annullarli in tutto o in parte” (par. 14).

La Commissione, in relazione alle censure mosse dai ricorrenti, aveva presentato argomentazioni simili a quelle esposte nella decisione impugnata. In particolare, essa aveva ribadito che la decisione del Consiglio che l’autorizza ad avviare negoziati finalizzati alla conclusione di un accordo internazionale, “ha carattere meramente preparatorio, poiché essa produce effetti giuridici solamente nei rapporti tra le istituzioni”. Infatti, un’interpretazione sistematica e teleologica della normativa in questione “condurrebbe alla conclusione che un atto giuridico a carattere meramente preparatorio non sarebbe un atto giuridico” al fine della registrazione di una proposta di ICE (par. 19). A sostegno di tale tesi, la Commissione aveva riproposto l’argomento per cui “solamente gli atti giuridici i cui effetti travalicano i rapporti tra le istituzioni dell’Unione possono costituire oggetto di una ICE, poiché la partecipazione democratica che quest’ultima intende favorire ha l’obiettivo di associare i cittadini alle decisioni relative alle questioni che riguardano, almeno potenzialmente, la loro sfera giuridica personale”. Mentre il Consiglio e la Commissione “avrebbero legittimazione democratica indiretta sufficiente ad adottare gli atti i cui effetti giuridici si limitano alle istituzioni” (par. 20).

Inoltre, la Commissione aveva richiamato l’art. 10, par. 1 lett. c) del Regolamento n. 211/2011 - che si riferisce alla fase finale del procedimento di proposta di ICE ove la Commissione è tenuta a presentare una comunicazione ove esporre “l’eventuale azione che intende intraprendere”, per ribadire che “sarebbero ammesse soltanto le ICE volte all’adozione di un atto giuridico con un contenuto preciso o all’annullamento di un atto giuridico esistente”. Diversamente, se la Commissione annunciasse nella comunicazione finale “che non intendeva proporre alcun atto giuridico corrispondente, ne risulterebbe una limitazione politica inaccettabile del suo diritto di iniziativa”. A ciò si aggiungerebbe il venir meno della funzione attribuita alla proposta di ICE, che è quella di “spingere la Commissione ad abbordare pubblicamente il tema oggetto dell’ICE e a suscitare così un dibattito politico”. Infatti, “una ICE che chiedesse la non adozione di una decisione del Consiglio non sarebbe più in grado di svolgere la funzione di lanciare detto dibattito politico per la prima volta e rappresenterebbe un’ingerenza inammissibile nello svolgimento di una procedura legislativa in corso” (par. 21)

Infine, secondo la Commissione, una decisione di non accettare un accordo internazionale “non avrebbe portata autonoma rispetto alla semplice non adozione di una decisione del Consiglio che approva la conclusione dell’accordo, per cui tale decisione sarebbe giuridicamente superflua” (par. 22).

Nella sentenza in commento, il Tribunale ha ricordato innanzitutto il quadro normativo relativo alla proposta di ICE (paragrafi. 23- 27) e ha chiarito i termini della questione sottoposta al suo esame. Esso infatti ha precisato che il contenuto della proposta di ICE presentata dagli organizzatori “aveva l’obiettivo di invitare la Commissione a sottoporre al Consiglio, da un lato, una proposta di atto del Consiglio per revocare il mandato negoziale per la conclusione del TTIP, dall’altro, una proposta di atto del Consiglio per non autorizzare la Commissione a firmare il TTIP e il CETA e per non concludere questi ultimi” (par.28). In questo modo, il Tribunale ha chiarito che il ricorso “non riguarda la competenza dell’Unione a negoziare gli accordi TTIP e CETA”, come affermato dalla Commissione, “bensì i ricorrenti contestano i motivi invocati nella decisione impugnata per rifiutare la registrazione della proposta di ICE” (par. 29). Infatti, il Tribunale ha riconosciuto, in principio, che la Commissione aveva la competenza a presentare al Consiglio, quantomeno di propria iniziativa, “una proposta di atto che le revochi il mandato con il quale è stata autorizzata ad avviare negoziati” o “una proposta di decisione di non autorizzare la firma di un accordo negoziato o di non concluderlo” (parr. 30 – 32).

Il Tribunale infatti ha poi preso in esame la questione sollevata dalla Commissione, relativa al fatto che “una proposta di ICE non può vertere su atti di questo tipo”, a causa, da un lato, del loro “carattere preparatorio e l’assenza di effetti giuridici esterni” e, dall’altro lato, della circostanza che gli atti giuridici di cui è proposta l’adozione, non sono necessari “ai fini dell’attuazione dei trattati” (par. 33).

In relazione al primo aspetto, il Tribunale, riprendendo la tesi sostenuta dai ricorrenti, ha affermato che la nozione di atto giuridico, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, TFUE, dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 211/2011 e dell’articolo 4 paragrafo 2, lettera b) del medesimo regolamento, non potrebbe essere intesa “come limitata ai soli atti giuridici dell’Unione a carattere definitivo e che producono effetti giuridici nei confronti di terzi” (par. 35). Infatti, “né il tenore letterale delle disposizioni citate né gli obiettivi da esse perseguiti giustificano nello specifico che sia esclusa dalla nozione di atto giuridico ai fini di un ICE una decisione che autorizza l’avvio di negoziati finalizzati alla conclusione di un accordo internazionale” presa ai sensi dell’art. 207, parr. 3 e 4, e 218 TFUE, “e che costituisce chiaramente una decisione ai sensi dell’articolo 288, quarto comma TFUE” (par. 36 e giurisprudenza ivi citata). Sono proprio il principio di democrazia - affermato nel preambolo del Trattato UE, nell’art. 2 TUE nonché nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – e l’obiettivo sotteso allo strumento dell’ICE, che consiste nel migliorare il funzionamento democratico, che impongono di adottare un’interpretazione della nozione di atto giuridico ampia, che includa atti come quello che autorizza l’avvio dei negoziati, così come quello di revoca di tale autorizzazione. Al contrario, la tesi sostenuta dalla Commissione avrebbe come conseguenza di limitare considerevolmente il ricorso all’ICE, come strumento di partecipazione dei cittadini dell’Unione all’attività legislativa da quest’ultima esercitata. Pertanto, il Tribunale ha respinto la tesi sostenuta dalla Commissione, allineandosi peraltro con la tesi presentata dai ricorrenti relativa al riconoscimento del carattere definitivo di una “decisione di revoca dell’autorizzazione ad avviare negoziati finalizzati alla conclusione di un accordo internazionale” in quanto mette termine a questi ultimi (parr. 37- 39).

In secondo luogo, il Tribunale ha respinto anche la tesi della Commissione in base alla quale la proposta di ICE aveva ad oggetto l’adozione di atti “distruttivi”, non finalizzati all’attuazione dei Trattati. Infatti, secondo il Tribunale “le norme relative all’ICE non riportano alcuna indicazione, in base alla quale la partecipazione dei cittadini non può essere prevista per impedire l’adozione di un atto giuridico”. Dalla normativa in materia di ICE si evince quindi che se l’atto giuridico deve contribuire all’attuazione dei Trattati, “tale ipotesi ricorre anche nel caso di atti che intendono impedire la conclusione del TTIP e del CETA, i quali sono volti a modificare l’ordinamento giuridico dell’Unione” (par. 41). Infatti, “l’obiettivo della partecipazione alla vita democratica dell’Unione perseguito dallo strumento dell’ICE include chiaramente la facoltà di chiedere la modifica di atti giuridici in vigore o la loro revoca, totale o parziale” (par. 42). Inoltre, atti volti ad impedire la firma e la conclusione di accordi internazionali “producono incontestabilmente effetti giuridici autonomi, impedendo, se del caso, la modifica prevista del diritto dell’Unione” (par. 43).

Infine, il Tribunale ha ugualmente respinto l’argomento della Commissione, secondo cui gli atti che la proposta di ICE la invita a sottoporre al Consiglio la condurrebbero ad un’ingerenza inammissibile nello svolgimento di una procedura legislativa in corso. Infatti, l’obiettivo perseguito dall’ICE “è quello di permettere ai cittadini dell’Unione di partecipare maggiormente alla vita democratica dell’Unione” (par. 45). Ammettere tali proposte di ICE non viola neppure il principio di equilibrio istituzionale, che caratterizza la struttura istituzionale dell’Unione, “poiché spetta alla Commissione decidere se dare o meno seguito all’ICE esponendo, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 211/2011, in una comunicazione, le proprie conclusioni giuridiche e politiche sull’ICE, l’eventuale azione che intende intraprendere e i suoi motivi per agire o meno in tal senso” (par 46). In definitiva, il Tribunale ha riconosciuto il ruolo fondamentale rappresentato dalla proposta di ICE, quale “espressione di partecipazione effettiva dei cittadini dell’Unione alla vita democratica di quest’ultima, senza compromettere l’equilibrio istituzionale voluto dai trattati” (par.47).

Il Tribunale ha quindi accolto il primo motivo di ricorso, in quanto la Commissione, rifiutando di registrare la proposta di ICE, aveva violato l’art. 11, par. 4 TUE e artt. 4, par. 2, lett. b), in combinato disposto con l’art. 2, par. 1 del Regolamento n. 211/2011 e ha, di conseguenza, annullato la decisione in questione.


1 Su cui si veda, in questo Osservatorio (1/2017), la nota di N. Lazzerini “Sulla possibilità di presentare un’iniziativa dei cittadini dell’Unione relativa a una “proposta complessa” e l’obbligo della Commissione europea di motivare in modo dettagliato il rifiuto di registrarla: brevi considerazioni sulla sent. Minority Safepack”.

Un secondo motivo riguardava la violazione del principio della parità di trattamento, ma questo non è stato preso in esame dal Tribunale.

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