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Potestà regolamentare comunale in tema di apertura e la gestione delle sale giochi (3/2018)

CONS. STATO, sez. IV, 10 luglio 2018, n. 4199; 10 luglio 2018, n. 4200

Il Consiglio di stato accoglie l’appello proposto dal comune di Vicenza avverso la sentenza del T.A.R. Veneto, sez. III, n. 576/2013, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale.
Infatti, la sentenza n. 220/2014 ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, co. 7 d.lgs. 267/2000, sollevata in riferimento agli artt. 32 e 118 Cost., concernente la configurabilità o meno di una competenza in ordine all'adozione di provvedimenti da parte degli enti locali in materia di gioco e scommessa in base al suddetto art. 50, 7° comma.

La Corte è pervenuta a tale pronuncia di inammissibilità non per escludere la sussistenza di tale potere in base al tenore letterale di tale statuizione normativa, ma rilevando invece "la non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di diverse, pur praticabili, soluzioni ermeneutiche".
La Corte ha evidenziato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di merito che di legittimità (Cons. Stato, sent. n. 3271/2014; ordinanze n. 2133, n. 996/2014 e n. 2712/2013; TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 1484/2012; TAR Campania, sent. n. 2976 del 2011; TAR Lazio, sent. n. 5619/2010), secondo cui l'art. 50, co. 7, del d.lgs. n. 267/2000 è una statuizione di carattere generale, nel cui ambito non vi sono ragioni preclusive a ritenere rientrante anche il potere sindacale di determinazione degli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l'orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati.
Anzi la Corte Costituzionale ha riconosciuto una maggiore estensione a tale potere anche in ordine alle limitazioni della distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, rilevando la sua riconducibilità alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni.
A tal fine ha richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. Sez. IV sentenza n. 2710/2012), secondo cui l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti.
La successiva sentenza n. 108/2017, nel richiamare espressamente la sentenza n. 300/2011, ha escluso l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante "Contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico (GAP)", nella parte in cui vieta il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili" ivi indicati. La Corte nell'occasione ha chiarito che il legislatore regionale era intervenuto, invece, per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo": fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo.
La disposizione perseguiva, pertanto, secondo il giudice delle leggi, in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. In quest'ottica, la circostanza che l'autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l'esercizio di una attività pure autorizzata dal questore  come nel caso oggetto del giudizio principale  non implica alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all'autorità di pubblica sicurezza. Infine, il giudice delle leggi ha chiarito che i criteri per la dislocazione delle sale da gioco, anche nell'ottica della tutela della salute, non dovevano essere necessariamente fissati in forza dell'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012.
Risulta, pertanto, del tutto smentita l'affermazione del primo giudice secondo la quale: "gli strumenti pianificatori di contrasto alla ludopatia devono essere decisi a livello nazionale o comunque essere inseriti nel sistema della pianificazione nazionale" e che "La competenza legislativamente stabilita a favore dell'amministrazione statale esclude che pari competenza possa essere esercitata dal comune.".
Già sulla scorta della prima delle citate pronunce della Corte costituzionale la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578) ha chiarito che dall'art. 7, comma 10, D.L. n. 158/2012, si trae il principio della legittimità di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (prevenzione logistica delle ludopatie), non anche quello della necessità della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale.

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