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Causa C-621/18 – La notifica ex art. 50 TUE dell’intenzione di recedere dall’Unione può essere revocata in modo unilaterale dallo Stato membro in questione (3/2018)

Sentenza della Corte di giustizia (Seduta plenaria) del 10 dicembre 2018, Wightman, causa C-621/18 PPU, ECLI:EU:C:2018:999

Nella sentenza oggetto della segnalazione, la Corte di giustizia ha affermato che lo Stato membro che ha notificato al Consiglio europeo – ai sensi dell’art. 50 TUE – la propria intenzione di recedere dall’Unione, ha il diritto – fino a quando non sia entrato in vigore l’accordo di recesso, oppure, in sua assenza, fino allo spirare del termine di due anni dalla notifica (o del termine più lungo stabilito nelle modalità previste dall’art. 50, par. 3, TUE) – di revocare unilateralmente la notifica suddetta, in modo inequivoco e incondizionato, attraverso una nuova notifica indirizzata al Consiglio europeo, in forma scritta, successiva a una decisione adottata conformemente alle norme costituzionali dello Stato in questione. La Corte ha altresì precisato che la revoca determina la fine della procedura di recesso, confermando l’appartenenza all’Unione senza alcuna modifica dello status di membro del quale lo Stato godeva prima dell’attivazione della procedura di recesso.
*Nel momento in cui si scrive, la sentenza è disponibile solo in francese e inglese.

Come ormai ben noto, l’art. 50 TUE prevede la possibilità per uno Stato membro di recedere in modo unilaterale dall’Unione e, al contempo, “procedimentalizza” il recesso, che si verificherà o con la conclusione di un apposito accordo tra l’Unione e lo Stato in questione o, in mancanza, decorsi due anni dall’atto che dà formalmente avvio alla procedura di exit, ossia la notifica dell’intenzione di recedere indirizzata dallo Stato in questione al Consiglio europeo. L’articolo precisa, tra l’altro, che la decisione di recedere deve essere adottata dallo Stato membro “conformemente alle proprie norme costituzionali”, e che il Consiglio europeo, all’unanimità e d'intesa con lo Stato membro interessato, può prorogare il termine di due anni dalla notifica di recesso per la conclusione dell’accordo.
Ormai a pochi mesi dal 29 marzo 2019 – data che segna il decorso dei due anni dalla notifica da parte del Regno Unito dell’intenzione di recedere dall’Unione –, e nell’incertezza di una proroga del termine per la conclusione dell’accordo di recesso, un rinvio pregiudiziale proveniente dalla Scozia ha fornito l’occasione alla Corte di giustizia di interpretare – integrandola – la disciplina prevista dall’art. 50 TUE. In assenza di indicazioni fornite da quest’ultima disposizione, la Corte è stata infatti chiamata a chiarire se la notifica dell’intenzione di recedere può essere revocata in modo unilaterale dallo Stato membro interessato e, in caso affermativo, a quali condizioni e con quali effetti sulla membership di tale Stato.
Il rinvio pregiudiziale si inserisce in un procedimento instaurato dinanzi alla Court of Session scozzese – e nei confronti del Secretary of State for Exiting the European Union – per mezzo di una petition for judicial review presentata da un membro del Parlamento della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord, due membri del Parlamento scozzese e tre membri del Parlamento europeo, volta a ottenere una declaratoria circa la possibilità, i tempi, le modalità e gli effetti di una revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere. Il giudice di primo grado ha declinato la richiesta di proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e di garantire la petition for judicial review, adducendo il carattere ipotetico della questione e rilevando, inoltre, che questa interferiva sulla sovranità parlamentare ed esorbitava dalla giurisdizione del giudice nazionale. Il giudice dell’appello, invece, si è deciso a formulare un quesito pregiudiziale, ritenendo che la risposta avrebbe consentito ai richiedenti di stabilire – in vista del voto sull’accordo di recesso –l’esistenza di una terza opzione alternativa al recesso in base all’accordo con l’Unione che sarebbe stato ad essi presentato oppure al recesso in assenza di qualsiasi accordo.
Il governo del Regno Unito ha contestato l’ammissibilità del quesito pregiudiziale, argomentando in ordine al suo carattere ipotetico e all’assenza di una vera e propria controversia dinanzi al giudice del rinvio, dal momento che il quesito presupporrebbe fatti non ancora verificatisi e comunque eventuali, quali il tentativo del Regno Unito di revocare la notifica dell’intenzione di recedere e l’opposizione a tale atto da parte della Commissione europea o di uno degli altri Stati membri. In via preventiva, una richiesta con lo stesso oggetto del rinvio pregiudiziale in questione potrebbe essere proposta – secondo il governo del Regno Unito – solo attraverso la procedura ex art. 218(11) TFUE, che consente di ottenere un parere da parte della Corte di giustizia circa la compatibilità con i Trattati di un accordo che l’Unione intende concludere. Il rinvio pregiudiziale avrebbe dunque l’effetto, nel caso di specie, di aggirare tale procedura. A sostegno del carattere ipotetico della questione, la Commissione europea, intervenuta nel procedimento – come anche il Consiglio dell’Unione – ha osservato che la decisione del giudice del rinvio non avrebbe comunque avuto effetti giuridici vincolanti nel procedimento principale (paragrafi 20-25).
La Corte di giustizia, dopo aver ricordato, da un lato, la presunzione di rilevanza che supporta le questioni pregiudiziali, e, dall’altro, gli argomenti del giudice del rinvio circa l’utilità della risposta, ha escluso di poter rimettere in discussione la rilevanza del quesito, relativo all’interpretazione di una disposizione del diritto primario dell’Unione e centrale rispetto all’oggetto del procedimento principale (paragrafi 27-32 e 34). La Corte ha anche aggiunto – replicando al rilievo della Commissione europea – che la natura solo declaratoria del rimedio richiesto tramite la petition for judicial review non osta a una pronuncia pregiudiziale, se il diritto nazionale contempla un tale rimedio (par. 33).
Nel merito, sia i proponenti della petition for judicial review sia il Consiglio e la Commissione europea concordavano circa la possibilità per lo Stato membro di revocare la notifica di recesso. Tuttavia, i primi configuravano tale possibilità come un vero e proprio diritto al recesso unilaterale, nel solo rispetto delle norme costituzionali nazionali – in modo speculare a quanto previsto dall’art. 50 TUE per la notifica dell’intenzione di recedere – (par. 37), le istituzioni europee ritenevano invece necessario il consenso unanime degli altri Stati membri in seno al Consiglio europeo, al fine di evitare un utilizzo abusivo dell’art. 50 TUE (paragrafi 38-42). Il governo del Regno Unito, dal canto suo, si era limitato a contestare l’ammissibilità del quesito pregiudiziale, senza argomentare nel merito.
In apertura del proprio ragionamento, la Corte di giustizia ha ricordato sia le caratteristiche peculiari dell’ordinamento giuridico dell’Unione – l’autonomia dal diritto degli Stati membri e da quello internazionale, il primato delle sue disposizioni e l’effetto diretto di alcune di esse – sia la propria giurisprudenza secondo cui l’interpretazione delle norme UE non deve tenere in considerazione solo il dato letterale, ma anche gli obiettivi perseguiti dalla disposizione in questione, il suo contesto e l’intero sistema del diritto UE; anche le origini della norma interpretata possono fornire delle indicazioni (paragrafi 44-47).
Con riguardo alla lettera dell’art. 50 TUE, dopo aver constatato la mancanza di indicazioni esplicite nel senso che la revoca è consentita ovvero esclusa, la Corte ha valorizzato il riferimento al par. 1 all’“intenzione” di recedere – osservando che, per sua natura, l’intenzione non è né definitiva né irrevocabile (par. 48) –, nonché la circostanza che la decisione di recedere non deve essere concertata con gli altri Stati membri, dovendo solo formarsi in conformità con le norme costituzionali nazionali dello Stato membro interessato (par. 50).
Alla luce del contenuto degli ulteriori paragrafi dell’art. 50 TUE, la Corte ha poi affermato che questa disposizione persegue il duplice obiettivo di assicurare il diritto sovrano di uno Stato membro di recedere dall’Unione e di stabilire una procedura che consenta un recesso ordinato (par. 56). Secondo la Corte, la natura del diritto di recedere implica il diritto di revocare la notifica dell’intenzione di avvalersi di quella possibilità, esprimendo la decisione sovrana di rimanere nell’Unione; nell’assenza di indicazioni esplicite, la revoca deve essere assoggettata alla stessa condizione della conformità della decisione alle norme costituzionali nazionali, prevista per la notifica dell’intenzione di recedere (paragrafi 57-59).
La Corte ha poi tratto ulteriori conferme a sostegno di questa interpretazione dal contesto dell’art. 50 TUE, richiamando, innanzitutto, i vari riferimenti nel TUE e nel TFUE all’obiettivo di creare “un’Unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa” (par. 61) e i valori fondanti della libertà e della democrazia di cui all’art. 2 TUE (par. 62). Ha poi ricordato che, secondo quanto emerge dall’art. 49 TUE, la decisione di uno Stato di entrare a far parte dell’Unione esprime l’impegno libero e volontario di quest’ultimo di vincolarsi ai valori sui quali l’Unione si fonda (par. 63) e che l’uscita dall’Unione comporta delle ripercussioni significative per i cittadini dello Stato che recede (par. 64). L’irreversibilità della notifica dell’intenzione di recedere, in presenza di una nuova determinazione di segno contrario da parte dello Stato membro in questione, nel rispetto delle proprie norme costituzionali, sarebbe dunque in contrasto con il contesto nel quale l’art. 50 TUE si inserisce (par. 67).
Da ultimo, la Corte ha ricordato che, durante la redazione della disposizione sul recesso, inserita per la prima volta nel Trattato che stabiliva una Costituzione per l’Europa, erano stati respinti alcuni emendamenti volti a consentire l’espulsione dello Stato, proprio al fine di salvaguardare il carattere unilaterale e volontario del recesso (par. 68). A ulteriore conferma, infine, la Corte ha altresì richiamato l’art. 68 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, tenuta in considerazione durante l’elaborazione del Trattato-Costituzione, che prevede espressamente, nell’ipotesi in cui un trattato contempli il recesso unilaterale, la possibilità di revocare la notifica dell’intenzione di recedere, in qualunque momento fino a che il recesso non abbia avuto effetto (paragrafi 70 e 71).
In base a tali argomenti, la Corte ha escluso l’interpretazione proposta dal Consiglio e dalla Commissione.
Quanto alla tempistica della revoca, ha poi precisato che lo Stato membro può determinarsi in tal senso fino a quando non è entrato in vigore l’accordo di recesso o, in sua assenza, fino allo spirare del termine di due anni dalla notifica dell’intenzione di recedere previsto dall’art. 50, par. 3, TUE (o allo spirare del termine più lungo, nel caso sia stata disposta una proroga secondo le modalità previste dalla stessa disposizione). La notifica deve fare seguito a una decisione formatasi in conformità alle norme costituzionali dello Stato membro in questione, deve avere forma scritta, deve essere indirizzata al Consiglio europeo e deve esprimere in modo inequivoco e incondizionato l’intenzione di confermare la propria partecipazione all’Unione, in termini inalterati rispetto allo status di membro del quale lo Stato godeva prima dell’avvio della procedura di recesso, della quale una notifica siffatta determina la conclusione (paragrafi 73-75).

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