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Regioni e guide turistiche: verso l’attesa riforma ordinamentale prevista nel PNRR (3/2021)

Tra gli interventi programmati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) compare finalmente anche la riforma dell’ordinamento delle professioni delle guide turistiche (v. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, M1C3.4 TURISMO 4.0, Riforma 4.1: Ordinamento delle professioni delle guide turistiche, 117). L’intervento del legislatore statale è atteso da tempo, dal momento che la disciplina della materia – strategica per il settore, chiamato ad affrontare la ripresa post-pandemica – è bloccata in una “paralisi” dovuta a una serie di vicende normative e giudiziarie succedutesi nel tempo.

Ciò non solo impedisce – in ottica ordinamentale – l’esercizio della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia ex art. 117, comma 3, Cost., e si riflette inevitabilmente sulla definizione delle politiche turistiche, riconducibili (quanto meno in via generale) alla competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 4, Cost.; ma finisce per impedire pure l’accesso alla professione da parte delle aspiranti guide, spinte talvolta a conseguire il titolo all’estero, con il rischio ulteriore di fungere da incentivo all’abusivismo.

Per comprendere la situazione odierna e l’urgenza della riforma è necessario ricapitolare brevemente l’evoluzione della disciplina delle professioni turistiche (e quindi delle guide turistiche, che qui interessano).

 

Prima della riforma del Titolo V, la disciplina statale di riferimento è stata a lungo rappresentata dalla legge-quadro sul turismo, la n. 217/1983. Ai sensi dell’art. 11, tale legge andava a individuare un elenco di professioni turistiche (alcune già esistenti, altre introdotte ex novo), rimettendo alle Regioni il compito di accertare i requisiti per lo svolgimento delle figure professionali indicate e di «ogni altra professione attinente al turismo». Sulla base di tale previsione, le Regioni avevano ritenuto di poter introdurre e regolare figure ulteriori e diverse da quelle previste nella legge statale, dando vita a un’ampia varietà di ruoli (per qualche esempio, cfr. L. Righi, Le professioni turistiche, in V. Franceschelli, F. Morandi (a cura di), Manuale di diritto del turismo, Giappichelli, Torino, 2019, 212).

Con la riforma costituzionale del 2001, la materia è stata attratta alla potestà legislativa concorrente in materia di professioni (M. Malo, Turismo senza professioni, in Le Regioni, n. 3/2010, 654 ss.), con l’effetto per certi versi paradossale per cui, con il passaggio del turismo nella piena competenza delle Regioni, queste ultime hanno visto tuttavia ridotto il proprio margine di intervento nella materia delle relative professioni, ambito nel quale in precedenza avevano giocato un ruolo importante pur in assenza di alcun titolo competenziale (cfr. M. Malo, Turismo e professioni, in Le Regioni, n. 2-3/2006, 555 ss.). Tale interpretazione del riparto tracciato dal nuovo art. 117 Cost. è stata confermata in più occasioni dalla Corte costituzionale (v. sentt. nn. 222/2008, 271/2009, 132/2010).

Il “trasferimento” al legislatore statale del compito di definire i principi della materia non ha tuttavia consentito quel chiarimento e quella semplificazione che ci si sarebbe potuti attendere. Accanto alla questione dei rapporti Stato-Regioni, si pone infatti anche il problematico rispetto del diritto dell’Unione europea, che ha complicato ulteriormente il percorso verso il raggiungimento di un quadro giuridico stabile. Si tratta peraltro di un problema risalente, se solo si considera che già all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, con tre sentenze dell’allora Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sono state censurate – in quanto comportanti una restrizione illegittima della libertà di circolazione dei servizi – le discipline di Spagna, Grecia e Italia, le quali prevedevano abilitazione e iscrizione ad albi o elenchi per l’esercizio della professione di guida turistica. La Corte europea non aveva invero escluso in radice la possibilità di siffatte previsioni – dirette alla conservazione del patrimonio storico ed artistico dello Stato membro – ma le aveva ritenute ammissibili solo in relazione alle «caratteristiche particolari di determinati luoghi», sostenendo quindi che potessero prevedersi delle “guide specializzate” per musei o monumenti particolari. Restava comunque inteso che la legittimità delle stesse previsioni andava verificata sotto il profilo della proporzionalità rispetto allo scopo (v. in part. CGCE, sentenza 26 febbraio 1991, causa C-180/89).

Per dare attuazione alla sentenza, l’Italia ha dapprima adottato un atto di indirizzo nei confronti delle Regioni (d.p.r. 13 dicembre 1995); poi, dopo l’avvio di una nuova procedura d’infrazione – avendo ritenuto la Commissione che l’ampiezza dei siti speciali individuati dall’Italia fosse eccessiva –, è stato emanato il d.l. n. 7/2007 (conv. in l. n. 40/2007), cd. Bersani bis, con il quale si è proceduto ad una liberalizzazione del settore, prescrivendo che i soggetti abilitati in un altro Stato membro potessero esercitare senza la necessità di ulteriori autorizzazioni o abilitazioni. Nello stesso decreto si faceva però salva al contempo la «previa verifica delle conoscenze linguistiche e del territorio di riferimento».

Tali previsioni hanno generato non pochi problemi: da un lato, è risultato assai arduo per le Regioni immaginare sistemi di verifica delle conoscenze linguistiche e del territorio che non si risolvessero in strumenti eccessivamente restrittivi; dall’altro, permanendo comunque per le guide italiane la previgente abilitazione su base territoriale, emergeva una sorta di “discriminazione a rovescio”, appunto a danno degli operatori italiani (cfr. L. Righi, Le professioni turistiche, cit., 218-219). Quest’ultimo problema ha finito presto per condurre all’affermazione della portata nazionale dell’abilitazione (Corte cost. 271/2009).

La collocazione della disciplina delle guide turistiche nella competenza concorrente, unita all’instabilità della normativa statale (dovuta anche ai ripetuti tentativi di conformazione rispetto al diritto europeo), hanno dunque finito per incidere negativamente sull’esercizio delle funzioni legislative regionali.

Attualmente la disciplina di matrice statale si limita a due scarne disposizioni del Codice del Turismo (d.lgs. n. 79/2011), sopravvissute alla declaratoria di illegittimità della Corte costituzionale (Corte cost., sent n. 80/2012), che tuttavia non contengono indicazioni su definizioni e requisiti per l’abilitazione all’esercizio di professioni turistiche, diversamente dalla vecchia legge-quadro del 1983. Peraltro, lo stesso codice ha abrogato l’art 10, co. 4, del d.l. n. 7/2007, cd. Bersani bis, che sanciva almeno alcuni principi della materia. Si è creata pertanto una situazione che vede lo Stato, il quale disporrebbe della competenza a dettare i principi fondamentali della materia, sostanzialmente inoperoso su questo fronte; e le Regioni, che dovrebbero dare applicazione a tali principi, frenate dalla persistente assenza di una compiuta disciplina statale. La Corte costituzionale ha avuto peraltro occasione di ribadire più volte l’impossibilità dello sviluppo di una legislazione regionale in materia in assenza dei principi statali (Corte cost. nn. 178/2014 e 117/2015).

A completare questo quadro di stallo, si aggiunga che i requisiti necessari ad ottenere l’abilitazione richiesta dall’art. 3, co. 3, della legge 6 agosto 2013, n. 97, “Legge europea 2013” (adottata per rispondere ad una nuova procedura d’infrazione), necessaria per l’esercizio della professione di guida turistica nei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico (le “guide specializzate” di cui supra) non sono ancora stati definiti. O meglio, il MiBACT aveva effettivamente emanato, d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni, due decreti in attuazione (d.m. 11 dicembre 2015 e d.m. 17 aprile 2015) individuando i siti e definendo le procedure. Ma il TAR Lazio prima (Sez. II-quater sent. 24 febbraio 2017, n. 2831), e il Consiglio di Stato poi (Sez. VI, sent. 1 agosto 2017, n. 3859) hanno annullato entrambi i decreti. In breve, il giudice amministrativo, pur ritenendo compatibile con il diritto europeo la riserva di alcuni siti in favore di “guide specializzate”, ha ravvisato che il considerevole numero dei siti individuati finisse per restringere in maniera sproporzionata il mercato; la singola guida sarebbe stata costretta a premunirsi di tutte le abilitazioni “speciali” per poter svolgere la propria attività, rendendo così inutile il riconoscimento del libero esercizio a livello nazionale della professione di guida turistica (cfr. S. Cavaliere, Gli incerti confini della disciplina giuridica della professione di guida turistica tra diritto dell’Unione Europea e ordinamento nazionale, in Diritto Pubblico Europeo – Rassegna online, n. 1/2017).

Nel frattempo alcune Regioni hanno comunque adottato leggi in materia (v. ad es. l.r. Lombardia n. 27/2015, art. 49 ss.; l.r. Umbria n. 8/2017, artt. 49 ss.; l.r. Toscana n. 86/2016, artt. 104 ss.) che tuttavia, laddove non sono state impugnate dinanzi alla Corte costituzionale, sono rimaste sostanzialmente inattive, dal momento che le amministrazioni regionali non hanno ritenuto di poter avviare le procedura per l’abilitazione di nuove guide in assenza della disciplina statale di principio. Una soluzione interpretativa ribadita di recente dal Consiglio di Stato (Sez. V, sent. 26 agosto 2020, n. 5213), che ha confermato la decisione del Tar Calabria che annullava il bando per l’abilitazione di nuove guide turistiche emanato della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

Si arriva così ad oggi: nel cronoprogramma del PNRR (aggiornato al 21 settembre 2021) si prevede che la riforma dell’ordinamento professionale delle guide turistiche sia portata a termine entro il dicembre 2023. «L’obiettivo della riforma è di dare, nel rispetto dell’autonomia locale, un ordinamento professionale alle guide turistiche e al loro ambito di appartenenza. L’applicazione sistematica e omogenea della riforma permetterebbe di regolamentare i principi fondamentali della professione e di standardizzare i livelli di prestazione del servizio su tutto il territorio nazionale, producendo un effetto positivo sul mercato. La riforma prevedrà interventi di formazione e aggiornamento professionale al fine di supportare al meglio l’offerta».

Attualmente sono all’esame del Senato della Repubblica due disegni di legge (S. 1921 e S. 2087), che il Ministro del Turismo Garavaglia ha definito – in risposta ad un’interrogazione – «una valida base di discussione e confronto per riformare la professione».

In entrambi i ddl il necessario concorso delle Regioni è assicurato attraverso un parere espresso dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sul progetto di decreto ministeriale ex art. 17, co. 3, l. n. 400/1988, che va a definire i criteri per l’esame di abilitazione relativi a: «a) l’individuazione della sede o delle sedi per lo svolgimento delle prove di esame; b) la composizione delle commissioni esaminatrici; c) la definizione dei requisiti di accesso e di partecipazione all’esame, fermo restando il requisito minimo del diploma di laurea triennale; d) l’individuazione delle materie d’esame idonee ad accertare il possesso delle competenze, comprese quelle linguistiche e tecniche, in base allo standard europeo sulla formazione minima richiesta alle guide turistiche operanti nei Paesi membri dell’Unione europea approvato dal Comitato europeo di normalizzazione (CEN); e) l’individuazione degli ambiti territoriali di specializzazione tenendo conto della numerosità dei siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità, secondo la Convenzione adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) il 16 novembre 1972, del flusso di visitatori e della contiguità territoriale, per quanto concerne anche le tradizioni storiche, culturali, linguistiche ed enogastronomiche, ai fini della formazione propedeutica all’esercizio della professione; f) la definizione degli indirizzi relativi allo svolgimento dei corsi di formazione specifica, organizzati dalle regioni in convenzione con le università» (art. 3, co. 2, S. 1921; art. 5, co. 2, S. 2087; le ultime due lettere e) ed f) nel S. 2087 sono sostituite da una lett. e) come segue: «la definizione degli indirizzi relativi allo svolgimento dei corsi di formazione per le specializzazioni di cui all'articolo 2, comma 5, organizzati dalle regioni in convenzione con le università».

Le Regioni sono poi tenute ad organizzare la formazione in convenzione con le università (art. 5 S. 1921; art. 6 S. 2087).

Sui disegni di legge in discussione si è espresso il presidente della Commissione Turismo in seno alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha segnalato alcune criticità. Innanzitutto sul fronte della formazione, che come si è visto dovrebbe essere organizzata dalle Regioni in convenzione con l’università. La Conferenza sottolinea in proposito che si tratta di decidere se ricondurla nell’ambito della formazione professionale (competenza esclusiva regionale ai sensi dell’art. 117, comma 3) oppure nella formazione universitaria. Allo stato, sostengono le Regioni, i disegni di legge chiedono loro «di assumere l’onere organizzativo e il sostegno finanziario (disegno di legge S. 2087) delle attività formative in deroga ai propri sistemi».

Un altro punto critico è rappresentato dal vincolo costituito dagli “ambiti territoriali di specializzazione” previsti dalla legge, il quale oltre ad apparire non sufficientemente chiaro nelle implicazioni giuridiche, rischia soprattutto di riproporre quella “discriminazione a rovescio” a danno delle guide italiane rispetto a quelle degli altri Stati membri (che potrebbero esercitare sull’intero territorio nazionale).

Non mancano dunque gli aspetti da chiarire e i nodi da sciogliere. C’è tuttavia da augurarsi che l’approvazione della riforma e l’adozione dei necessari provvedimenti d’attuazione (decreti ministeriali e provvedimenti regionali) intervengano rapidamente, anche anticipando il termine della fine del 2023 indicato nel cronoprogramma, in modo da mettere fine ad uno stallo che dura ormai dal 2017 e pesa su un settore cruciale per l’economia del Paese, oltre a frustrare le aspirazioni di tanti giovani.

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