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Editoriale n. 3/2017

 

foto Puccini rev

1. La maggior parte dei saggi pubblicati nel presente numero della rivista consiste in una serie di contributi attinenti al Seminario su “Crisi della rappresentanza e nuove dinamiche della regolazione. Le prospettive della democrazia pluralista in Europa”, svoltosi a Catania il 3 ed il 4 aprile del 2017 su iniziativa del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo catanese.
Un indiscutibile merito di questo Seminario e dei relativi contributi, in effetti, è stato indiscutibilmente quello di sviluppare “a trecentosessanta gradi”, a partire dalla particolare esperienza del nostro ordinamento, il tema del rapporto intercorrente fra l’attuale effettivo atteggiarsi del sistema delle fonti e la recente evoluzione, sempre sul piano dell’effettività, dell’assetto della forma di Stato e della forma di governo statale.

 

E del resto, che fra la peculiare fisionomia del sistema delle fonti e quella propria della “struttura costituzionale” intercorra una relazione particolarmente stretta, sta a ricordarcelo efficacemente il contributo di Antonio D’Atena.
Secondo D’Atena, appunto, “è sufficiente una rapida periodizzazione per constatare in qual misura, nel sistema delle regole, si ritrova il DNA dell’intero ordinamento”.
A ciascuna delle varie fasi storiche caratteristiche dell’evoluzione della nostra forma di Stato, infatti, sembra corrispondere l’affermazione di un peculiare criterio di risoluzione delle antinomie fra le fonti.
Così, l’affermazione del criterio gerarchico, fondato su di una diversità di forza formale fra le diverse fonti correlata alla diversità del relativo procedimento di formazione, risulta del tutto confacente ai tratti distintivi della forma di Stato liberale.
D’altra parte, la successiva aggiunta al criterio gerarchico di quello della competenza ha coerentemente rispecchiato prima l’avvento dello Stato corporativo, e poi, con ben altra articolazione, quello del pluralismo istituzionale e sociale introdotto dalla Costituzione repubblicana.
Infine, all’avvento del costituzionalismo multilivello, ed alla conseguente necessità di regolare i conflitti fra le norme nazionali e quelle di origine sovranazionale ed internazionale, ha fatto seguito l’affermarsi dell’ulteriore criterio della preferenza.
Ordunque, secondo quanto del resto ampiamente sottolineato nello stesso documento di presentazione del Seminario in questione, nel nostro vigente ordinamento costituzionale, nel quadro di forma di Stato di tipo liberal-democratico e di una forma di governo parlamentare scarsamente razionalizzata, viene a delinearsi un sistema delle fonti ispirato sì al primato della legge statale ma – come poc’anzi accennato - in una chiave comunque ben diversa rispetto a quella tipica del parlamentarismo classico di stampo ottocentesco.
Da un lato, infatti, il primato della legge e della rappresentanza parlamentare appaiono strettamente correlati al ruolo decisivo della mediazione partitica.
Dall’altro lato, tale primato risulta tuttavia in qualche misura ridimensionato dall’esplicito riconoscimento di un potere di normazione, anche di rango primario, sia in capo al Governo che in capo alle autonomie territoriali e sociali.
Dal medesimo documento peraltro, così come, in termini più o meno espliciti, dai contributi dei partecipanti al Seminario dedicati al nostro ordinamento, si evince anche come il concreto evolversi della fisionomia della nostra forma di Stato e della nostra forma di governo statale abbia indotto, sul piano della realtà istituzionale, un’ulteriore erosione del primato della legge parlamentare ben al là di quanto abbozzato nella stessa normativa costituzionale.
Si tratta appunto di quella evoluzione sintetizzata, nello stesso titolo del Seminario, nella formula della “crisi della rappresentanza”.
Ebbene, dal complesso dei contributi in questione emergono sia un utile approfondimento del significato di tale formula, sia tutte le implicazioni più significative del relativo fenomeno sul concreto funzionamento del nostro sistema delle fonti, sia, infine, la formulazione di una serie di proposte volte a rimediare alle implicazioni più difficilmente conciliabili con la disciplina costituzionale del sistema delle fonti e, più in generale, con la nostra “struttura costituzionale”.

 

2. Circa il significato proprio della formula della “crisi della rappresentanza”, intanto, più di un Autore cerca di evidenziare come, accanto ad una crisi del “rappresentante”, e prima ancora di essa, si registri oggi anche una crisi del “rappresentato” (Frosini, Giuffre’, Ruggeri), finendo l’una e l’altra crisi per alimentarsi reciprocamente (Di Maria).
Per un verso, certo, si ha cura di rammentare quanto, negli ultimi decenni, lo straordinario sviluppo scientifico e tecnologico, ed il correlativo sempre maggior rilievo del sapere tecnico-specialistico, abbiano fatto emergere la scarsa capacità del legislatore di provvedere alla regolamentazione di settori coinvolgenti “profili etici inerenti al rapporto tra attività umana e confini naturalistici”, ovvero di “ambiti di vita sociale ed economica” particolarmente complessi e delicati (libera concorrenza, moneta, appalti, public utilities etc.) (Giuffré). Senza con ciò potersi neppur trascurare, naturalmente, l’ulteriore difficoltà di fronteggiare le sempre più pressanti esigenze di una disciplina internazionalmente uniforme dei rapporti di natura privatistico-commerciale indotte dal fenomeno della globalizzazione (Frosini, Serges).
Né, d’altronde, la recente approvazione da parte della Giunta per il regolamento della Camera dei Deputati di una regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi, ovverosia di lobbying, nelle sedi della Camera stessa, sembrerebbe aver apprestato, in materia, un rimedio decisivo, non essendosi previsti congrui requisiti di qualificazione tecnico-professionale per l’iscrizione al relativo registro dei “lobbisti”, e trattandosi comunque di una novità circoscritta, appunto, ad un solo ramo del Parlamento (Di Maria).
Per un altro verso, tuttavia, non si è mancato di individuare una delle principali ragioni delle attuali carenze della legislazione parlamentare nel progressivo concreto decadimento della funzione del partito politico quale fondamentale strumento di organizzazione e di mediazione delle istanze del corpo sociale (Giuffré, Serges, Tigano), con la conseguente parcellizzazione della rappresentanza politica (Frosini). Decadimento ampiamente testimoniato, del resto, dal grado estremamente elevato di mobilità fra i gruppi parlamentari registratosi nel corso dell’ultimo ventennio, al quale soltanto sul finire dell’ultima legislatura si è seriamente pensato di porre un qualche argine, attraverso l’impostazione di un’apposita riforma dei regolamenti parlamentari e, in particolare, di quello del Senato (Lupo).
La crisi dei partiti e del loro sistema, a sua volta, sembrerebbe spiegare in discreta misura anche il contributo fornito dalla stessa legislazione elettorale più recente, scarsamente sensibile alla “cultura della rappresentanza”, ad una evoluzione della forma di governo statale eccessivamente sbilanciata a favore del Governo, nel quadro di “una sorta di dominio dell’esecutivo (…) emblematicamente sottolineato dall’uso della questione di fiducia per forzare la volontà del Parlamento“(Serges).

 

3. Da tutto ciò, dunque, una serie di sviluppi nel funzionamento del nostro sistema delle fonti, la cui piena compatibilità con il dettato costituzionale parrebbe quanto meno problematica.
Si pensi, al riguardo, alla mediocre qualità della legislazione, non solo dal punto di vista strettamente tecnico, ma anche e soprattutto da quello della sua sintonia con le reali esigenze degli interessati. Mediocre qualità che, dando vita a forme di regolamentazione ora eccessivamente e confusamente minuziose ed ora, all’inverso, eccessivamente lacunose, si è generalmente tradotta nell’incapacità della legislazione medesima di fungere da solido ed univoco punto di riferimento per l’agire della pubblica amministrazione (Tigano), ed ha finito altresì per assecondare un abnorme sviluppo della funzione “nomopoietica” della giurisdizione (Serges).
Si pensi, altresì, alla “sregolatezza” (Ruggeri) che caratterizza oggi l’espansione del potere normativo del Governo, e che si manifesta, sul fronte dei decreti-legge, nella frequente disomogeneità del loro stesso contenuto originario, sul fronte dei decreti legislativi, nell’eccessiva genericità dei principi dettati dalla legge di delega, e, su entrambi i fronti, attraverso un uso sistematico della questione di fiducia nell’ambito dei rispettivi procedimenti legislativi di conversione e di delegazione (Serges). Dandosi vita dunque, in tal modo, a “commistioni di funzioni e di atti che, a tacer d’altro, appaiono problematicamente riconciliabili col principio della separazione dei poteri e la tipicità dei ruoli ad esso sottesa” (Ruggeri). Per non parlare, poi, del frequente ricorso allo strumento del tutto anomalo dei decreti ministeriali “di natura non regolamentare” (Serges).
Ancora: si pensi alla sempre più ampia e rilevante affermazione della potestà normativa delle autorità amministrative indipendenti (Frosini, Giuffré, Serges), essenzialmente radicata nella peculiare competenza tecnico-specialistica delle medesime (Giuffré), non di rado da esercitarsi nella forma di per sé quanto mai ambivalente delle “linee guida” (Giuffré, Serges). Affermazione circa la cui piena conciliabilità con il difetto di democraticità insito nella fisionomia organizzativa propria delle authorities, nonché con il principio di legalità sostanziale e con le riserve di legge operanti nelle materie da esse disciplinate, si è com’è noto diffusamente dubitato.
Né d’altronde i dubbi in questione sembrano potersi considerare completamente e definitivamente superati mediante il ricorso all’antidoto della legalità procedurale, assicurato, secondo una nota giurisprudenza del Consiglio di Stato, attraverso la previsione legislativa della partecipazione degli interessati al procedimento di formazione degli atti normativi in questione (Donati, Giuffré).
Un recente pronuncia del Tar Lazio concernente un regolamento dell’Agcom in materia di esercizio del diritto di autore, infatti, sembrerebbe attenuare sensibilmente una simile funzione compensativa dell’applicazione del principio del giusto procedimento, ammettendo la possibilità, per l’Autorità, di non tener conto dell’esito della consultazione pubblica effettuata (Donati).
Ed infine, si pensi ad alcuni recenti esempi, tanto significativi quanto problematici dal punto di vista della piena tutela di diritti fondamentali, di conferimento di potere normativo da parte del legislatore a favore di istituzioni sociali.
Il primo di essi ha a che vedere con la recente tendenza della legislazione attinente al diritto del lavoro ad abdicare al proprio consolidato ruolo di disciplina inderogabile della materia: tendenza manifestatasi prima attraverso il riconoscimento di una capacità derogatoria alla stessa contrattazione collettiva aziendale e, poi, attraverso il conferimento – in sede di decretazione legislativa - di un’ampia serie di deleghe anche e soprattutto a favore contrattazione collettiva nazionale (Zappalà). Fermo restando peraltro, naturalmente, che il pieno successo di quest’ultimo conferimento appare comunque decisivamente condizionato all’effettivo rilancio di una rappresentanza sindacale che, al pari di quella partitica, sembra versare oggi in condizioni di notevole criticità (Giuffré, Tigano, Zappala’).
Il secondo esempio è costituito dal recentissimo intervento legislativo in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita e in materia di responsabilità professionale degli esercenti delle professioni sanitarie (L. n. 24/2017).
In tale intervento appunto, in particolare, si prevede che l’esercizio delle professioni in questione debba attenersi alle raccomandazioni previste in apposite linee-guida elaborate, fra gli altri, dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro dellla salute: linee-guida destinate ad essere integrate nel Sistema nazionale delle linee guida, e ad essere inserite dall’Istituto superiore di sanità nel proprio sito internet.
Ora, l’esatta natura giuridica ed il grado di vincolatività propri di tali linee-guida, appaiono in effetti quanto mai opinabili (Serges, F. Vecchio).
Anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, in effetti, esse potrebbero anche configurarsi soltanto come “un importante, ma non sempre decisivo, né tanto meno esaustivo, criterio sussidiario di interpretazione e di qualificazione delle conseguenze giuridiche prodotte da norme primarie” (Serges).
Peraltro, qualora a tali linee-guida dovesse invece riconoscersi una natura sostanzialmente normativa, tale da dar vita a vere e proprie “fonti del diritto di natura privatistica”, la loro previsione legislativa potrebbe sollevare qualche serio dubbio di compatibilità con la Costituzione: quanto meno sotto il profilo del pieno rispetto del principio del giusto procedimento, laddove non si contempla la partecipazione alla loro elaborazione, oltre che della categoria degli esercenti delle professioni sanitarie, anche di quella dei relativi utenti (F. Vecchio).

 

4. D’altro canto, a fronte della rilevazione di fenomeni e di tendenze inerenti al nostro sistema delle fonti quali quelli testé rammentati, ci si preoccupa di formulare taluni suggerimenti volti a porvi concretamente un qualche rimedio.
Così, il richiamo all’esigenza di un adeguato rilancio del ruolo della legislazione parlamentare viene diffusamente raccolto e sviluppato attraverso la prospettazione di una serie di soluzioni, alcune delle quali implicanti anche modifiche dello stesso testo costituzionale.
In particolare, al fine di far fronte alle rilevate criticità inerenti alla tecnica di formulazione delle disposizioni legislative, si auspica non soltanto una robusta “igiene legislativa” sul fronte specifico del drafting normativo (Frosini), ma anche la decisa valorizzazione di una legislazione formulata per principi, tale da realizzare un virtuoso equilibrio fra il piano della traduzione normativa delle scelte politiche e quello della loro applicazione ben calibrata sul caso concreto a livello amministrativo e, soprattutto, giurisdizionale (Ruggeri, Serges).
D’altra parte, ai fini di una miglior sintonizzazione dei contenuti della legislazione con le istanze sociali sottostanti, si è prospettato un deciso potenziamento della diretta e, al tempo stesso, qualificata partecipazione degli interessi al procedimento legislativo.
In tale direzione, si è suggerita una “riarticolazione per l’aspetto procedimentale dei tipi di legge”, mediante l’introduzione nella Costituzione di procedimenti legislativi partecipati in virtù dell’applicazione di moduli pattizi di varia natura (Ruggeri).
Ne’ si è mancato di auspicare la previsione a livello propriamente legislativo di un apposito meccanismo di partecipazione delle lobbies analogo a quello recentemente introdotto alla Camera dei deputati, ancorché ispirato all’esigenza di una maggiore qualificazione tecnico-professionale dei lobbisti (Di Maria).
Al tempo stesso, all’esigenza di un qualche ridimensionamento del potere di normazione legislativa del Governo, si ritiene di poter ovviare costituzionalizzando tanto una serie di limiti alla decretazione d’urgenza, quanto la consultazione parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi (Ruggeri).
Infine, per quanto concerne la potestà normativa delle authorities, si è suggerito di valorizzare al massimo taluni strumenti, già attualmente operanti, di riconduzione di tale potestà sotto il dominio della legge e della rappresentanza parlamentare, quali, in specie, quello del parere del Consiglio di Stato sui relativi atti e quello dell’obbligo di “rendere pubblico conto” dell’attività normativa svolta attraverso la sua sistematica sottoposizione al diretto controllo delle Camere (Giuffré).

 

5. Anche a fronte di un quadro nazionale così configurato, d’altronde, sembra del tutto plausibile la sottolineatura della perdurante validità del metodo di indagine comparatistico, nonostante la diffusa opinione di quanti ritengono siffatto metodo ormai irrimediabilmente superato in virtù dell’affermazione a livello planetario di un uniforme diritto globale (Frosini).
Ciò sembrerebbe trovare ampie conferme, del resto, anche nei saggi specificamente dedicati all’analisi di esperienze straniere.
In tali saggi, in effetti, sembra trovare un ampio riscontro l’idea della sussistenza di uno stretta connessione fra “struttura costituzionale” e fisionomia del sistema delle fonti.
In particolare, muovendo dalla considerazione dell’ordinamento portoghese, Vasco Pereira da Silva osserva come il passaggio dalla forma di Stato liberale a quella di Stato “post-sociale”, abbia comportato anche il superamento del principio di legalità inteso in senso formale, quale unico limite rispetto ad un’azione amministrativa nazionale quanto mai libera e pervasiva, ad opera del principio di “giuridicità”, ovverosia di “legalità multilivello”: principio in virtù del quale detta azione risulta largamente condizionata da una serie quanto mai articolata di vincoli normativi, da quelli di natura “sovra-legale” (Costituzione, diritto europeo diritto, diritto globale, diritto internazionale), a quelli nazionali di carattere legale ovvero di carattere infra-legale (Pereira da Silva).
Nell’ordinamento francese, d’altro canto, il ruolo predominante costituzionalmente assicurato al Governo sul terreno della normazione, attraverso il conferimento al medesimo di un’area riservata di potere regolamentare e di un potere di condizionamento decisivo del procedimento legislativo parlamentare, viene ad intrecciarsi strettamente con un’assetto della forma di governo statale ispirata ad un modello del parlamentarismo fortemente razionalizzato (Viala)..
Ed infine, il peculiare atteggiarsi, nell’ordinamento dello Stato della Luisiana, del principio dello stare decisis, e del rapporto fra consuetudine e legge statale, sembra ricollegabile ad alcuni tratti caratteristici del relativo contesto costituzionale, fra cui l’esistenza di una costituzione scritta e di una forma di Stato di tipo federale (Andò).
Un diverso genere di lezione, anche per il nostro ordinamento, sembrerebbe invece potersi ricavare dalle recenti vicende del referendum popolare sulla Brexit e degli Executive orders del presidente americano Trump.
Tali vicende, infatti, inducono a diffidare da qualunque tipo di aprioristica identificazione nella legge parlamentare della fonte normativa espressiva dei valori della democrazia e del pluralismo: laddove tale aprioristica identificazione rischia di far perdere di vista le autentiche ragioni della recente ascesa di quel “costituzionalismo populista”, di cui l’”ascesa del governo legislatore (…) in Italia come in tutte le democrazie occidentali”, costituirebbe per l’appunto una tipica espressione (Cantaro).



6. Per quanto concerne poi gli altri saggi pubblicati in questo numero della rivista, quello di Davide Baldini affronta, con riferimento alla materia della protezione dei dati personali, il tema specifico - attinente al rispetto degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – del rapporto fra consenso della persona interessata e legittimo interesse del titolare del trattamento.
Nel saggio, in particolare, si sottolinea come né la normativa europea né la Corte di Giustizia abbiano fornito al riguardo indicazioni sufficientemente univoche, tali da assicurare l’adozione, da parte degli Stati membri, di soluzioni omogenee in grado di scongiurare deprecabili tensioni fra diritto europeo e diritti nazionali, al di là delle diverse tradizioni costituzionali.
Il saggio di Andrea Cardone, nel trattare l'impatto - in termini di forme di “incidenza” - del diritto dell'Unione europea sul sistema delle fonti delle autonomie territoriali, propone una classificazione quadripartita delle forme in questione, con riferimento agli effetti sulle regole di validità normativa, a quelli sul riparto costituzionale delle competenze normative tra Stato e Regioni, a quelli sui procedimenti normativi, ricomprensivi dei profili inerenti alla "buona scrittura delle leggi", e, infine, a quelli sugli atti normativi tipizzati.
L’Autore mira pertanto a porre in luce come le quattro classi di effetti testé indicate stiano progressivamente conformando il sistema delle fonti in questione in maniera tale da favorire il processo di integrazione costituzionale europea attraverso la creazione di una serie di principi e di regole attinenti non al contenuto delle norme bensì alla loro validità, al loro procedimento di formazione e al loro comporsi in “sistema”, secondo una dinamica che incide sugli aspetti formali del sistema delle fonti e che, per tale ragione, viene definita di “integrazione procedurale”.
Il saggio di Cecilia Corsi e di Monica Rosini, offre una ricostruzione sistematica della giurisprudenza selezionata, nel quinquennio 2013-2017, per la rubrica di questa stessa rivista avente ad oggetto le “Fonti degli enti locali”.
Da tale ricostruzione, in particolare, emergono sia una sensibile valorizzazione del ruolo della potestà statutaria degli enti locali, sia, al contrario, una modesta valorizzazione del ruolo della relativa potestà regolamentare, sia, infine, una certa qual difficoltà nel mantenere in ogni caso l’esercizio del potere di ordinanza sindacale entro un quadro di compatibilità con la Costituzione.
Nel saggio di Giovanna De Minico, avente ad oggetto la questione relativa all’individuazione delle fonti del diritto atte a disciplinare il fenomeno Internet e i diritti fondamentali in esso coinvolti, si esclude senz’altro l’opportunità dell’introduzione di una simile disciplina attraverso modifiche delle Costituzioni nazionali, e si auspica piuttosto l’affidamento della stesura di un “Internet Bill of Rights” ad un’apposita autorità pubblica sovranazionale destinata ad operare attraverso un procedimento decisionale caratterizzato dalla partecipazione dei rappresentanti di tutti i soggetti interessati.
In questa prospettiva, si ritiene che un valido punto di riferimento potrebbe essere rappresentato dalla “Dichiarazione dei diritti per Internet” formulata da un’apposita Commissione istituita all’uopo nel 2014 presso la nostra Camera dei Deputati su iniziativa della sua Presidente, e fatta oggetto di una mozione approvata dalla stessa Camera nel novembre del 2015.
Il saggio di Gianpietro Ferri affronta il delicato tema del rapporto fra normativa costituzionale e sistemi di elezione delle Camere, sottolineando come, pur non avendo la nostra Carta costituzionale espresso al riguardo espresso al riguardo indicazioni univoche a favore di uno o di un altro sistema, la recente giurisprudenza della Corte costituzionale abbia tuttavia avuto modo di incidere profondamente sulle legislazione emanata in materia sulla base di considerazioni di natura prettamente sistematica.
Alla luce di tale giurisprudenza, dunque, si ritiene che la recente legge n. 165/2017, la quale presenta sì il pregio di “armonizzare” i sistemi elettorali di Camera e Senato, ma non prevede tuttavia il voto disgiunto fra la componente maggioritaria e quella proporzionale, dia adito a tale particolare riguardo a qualche seria perplessità sotto il profilo del pieno rispetto della libertà di voto.
Il saggio di Costanza Masciotta tratta del problema dell’eventuale violazione del diritto ad un equo processo tutelato dalla CEDU mediante norme legislative di interpretazione autentica emanate dal legislatore nazionale volte a condizionare in senso favorevole allo Stato interessato l’esito di controversie in corso: problema che si è posto in particolare di recente, nel nostro Paese, a seguito di una pronunzia di condanna nei confronti dello Stato italiano emessa dalla Corte di Strasburgo sul tema delle c.d. “pensioni svizzere”.
Sotto questo profilo, si esprime qualche perplessità sulla recente sentenza della Corte costituzionale n. 166/2017 con la quale, pur affermandosi l’intollerabilità di un eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa sul tema in questione, si è dichiarata tuttavia inammissbile la relativa questione di legittimità costituzionale: esponendosi quindi il nostro Paese ad un’ulteriore condanna della Corte di Strasburgo, e questa volta non più con una pronuncia riferita esclusivamente al caso concreto, bensì con una vera e propria sentenza-pilota volta a sanzionare l’inerzia dell’ordinamento giuridico italiano nel suo complesso.
Il saggio di Marta Picchi, infine, affronta il tema della motivazione delle leggi con riferimento alla recente giurisprudenza costituzionale inerente al contemperamento delle esigenze finanziarie correlate ai principi di cui all’art. 81 Cost. con quelle della tutela del nucleo essenziale dei diritti sociali.
Tale giurisprudenza infatti, facendo talora riferimento, fra l’altro, alle concrete risultanze dei lavori preparatori e, in specie, a quelle del dibattito intevenuto in seno alle Commissioni Bilancio delle Camere, sembrerebbe fornire più di uno spunto nella prospettiva di una valorizzazione della motivazione in questione, quale fondamentale strumento di verifica dell’effettiva ragionevolezza delle scelte di volta in volta effettuate dal legislatore in materia.

 

Osservatorio sulle fonti

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