Fonti Regioni speciali e Province autonome

Le leggi regionali siciliane (novembre 2023 – gennaio 2024) (1/2024)

L’attività legislativa della Regione Siciliana, nel periodo compreso tra novembre 2023 e gennaio 2024, è consistita nell’approvazione di ben diciassette leggi, una sola delle quali è stata oggetto di impugnazione da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

Si tratta della legge n. 1 del 2024 “Legge di stabilità regionale 2024-2026” impugnata con delibera del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2024.

1. In primo luogo è impugnato l’articolo 8 contenente “Benefici retributivi a favore del personale dipendente di cui all’articolo 87 del CCRL 2016-2018” per violazione dell’articolo 97, primo e secondo comma, e dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione nella materia di legislazione concorrente del coordinamento della finanza pubblica, confliggendo anche con le norme fondamentali e i criteri stabiliti dalla legge n. 243 del 2012, in particolare con l’articolo 9 di detta legge, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (Corte Cost., sentt. nn. 221 del 2013, 217 e 215 del 2012).


Esso, al comma 1, prevede che, «in conformità alle disposizioni dei commi 869 e 959 dell'articolo 1 della legge n. 178/2020, gli incrementi di cui all’articolo 87 del Contratto collettivo regionale di lavoro del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana - triennio normativo ed economico 2016-2018, previsti in sostituzione dell’elemento perequativo di cui alla lettera b) del comma 440 dell'articolo 1 della legge n. 145/2018, sono finanziati a regime nell'ambito del rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 del medesimo comparto». Al comma 2 dispone, inoltre, che «per le finalità del precedente comma 1, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019-2021 sono integrate, a decorrere dall'esercizio finanziario 2024, di un importo pari a 4,3 milioni di euro, da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale».
Osserva il Governo che «l’accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, sottoscritto il 16 ottobre 2023, contiene l’impegno della Regione siciliana finalizzato al contenimento della spesa di personale, al netto dei rinnovi contrattuali nei limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, incluso il trattamento accessorio e, sulla base del predetto impegno di contenimento di tale importante componente della spesa corrente, come contropartita, il nuovo accordo ha previsto la ripresa delle assunzioni a tempo indeterminato di personale sia del comparto sia con qualifica dirigenziale, con tassi di sostituzione delle cessazioni dl servizio superiori, per il triennio 2023-2025, al 100% del turn over».
Ciò posto, la disposizione impugnata determinerebbe «un aggiramento del limite finanziario cui sono sottoposti i fondi per il trattamento accessorio del personale previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017, ed anche la conseguente violazione del punto 10), dell’accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, sottoscritto il 16 ottobre 2023, nella parte in cui prevede l’impegno della Regione siciliana a contenere le spese di personale nei limiti dei rinnovi contrattuali previsti per tutti i comparti di contrattazione nazionale (Funzioni centrali, Funzioni locali, Sanità, Istruzione e ricerca)».
La norma in esame stanzia 4,3 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2024 e tale stanziamento, secondo il governo, «fuoriesce dall’accordo Stato Regione siciliana, in quanto le motivazioni addotte fanno riferimento all’elemento perequativo una tantum introdotto nei contratti collettivi di lavoro nazionali riferiti al triennio 2016-2018 con oneri a carico delle risorse contrattuali di tale triennio, che con specifico finanziamento disposto dall’articolo 1, commi 869 e 959, della legge n. 178/2020 è stato reso strutturale con inclusione nel trattamento fondamentale con la tornata contrattuale 2019-2021».
Nel caso, invece, dell’articolo 87 del CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana del triennio 2016-2018 richiamato dalla norma regionale, tale clausola negoziale, rileva il Governo, «non ha istituto un analogo elemento perequativo una tantum, ma con criteri nettamente diversi dai contratti collettivi nazionali ha incrementato l’”indennità di amministrazione” (componente fissa mensile della retribuzione) con la corrispondente diminuzione delle risorse per il trattamento accessorio appostate nel “Fondo per risorse decentrate” di cui all’articolo 90 del medesimo CCRL (somme destinate alla produttività da erogarsi all’esito delle risultanze del sistema di valutazione della performance)»
Sulla scorta di tali valutazioni «lo stanziamento di 4,3 milioni di euro previsto dalla norma regionale in esame non è finalizzato, come nei contratti collettivi nazionali, a reintegrare le risorse contrattuali utilizzate per l’elemento perequativo una tantum a valere sulle risorse che la finanza pubblica ha destinato ai rinnovi contrattuali 2016-2018 (3,78% a regime), ma è destinato a compensare le risorse dirottate dal “Fondo per risorse decentrate” per incrementare l’“Indennità di amministrazione” con ciò aggirando di fatto il vincolo normativo del rispetto del limite finanziario delle somme complessivamente destinate ai trattamenti accessori del personale previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017».
Osserva il Governo che «sia l’“Indennità di amministrazione” sia le risorse del “Fondo per risorse decentrate” assumono natura di componenti del trattamento accessorio come indicato dallo stesso CCRL”. Tuttavia, «dal punto di vista dei contenuti tecnici emergono in misura evidente le diverse finalità tra i due istituti economici presi a confronto, in quanto l’elemento perequativo una tantum è stato erogato in misura fortemente decrescente rispetto all’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti arrivando, nel caso del CCNL Funzioni centrali, ad escludere da tale beneficio la maggior parte dei dipendenti inquadrati nella seconda Area funzionale e tutti i dipendenti inquadrati nella terza Area funzionale; ciò proprio per difendere i livelli retributivi più bassi in linea con quanto previsto dall’articolo 1, comma 12, della legge n. 190/2014 (c.d. bonus detrazioni fiscali 80 euro mensili).
La norma regionale, invece, con finalità opposte incrementa l’“Indennità di amministrazione” già in godimento in misura significativamente crescente rispetto all’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti, con conseguente maggiore beneficio per i soggetti con inquadramenti medio-alti, ciò ponendosi in evidente antitesi con le finalità di difesa dei livelli retributivi più bassi prevista dai contratti collettivi nazionali e dal citato articolo 1, comma 12, della legge n. 190/2014».

Per tali ragioni, secondo il Governo, «la norma regionale in esame non risulta in linea con la previsione contenuta nell’Accordo Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, in relazione all’impegno assunto di contenere i rinnovi contrattuali del personale regionale nei limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, incluso il trattamento accessorio, tenuto conto che la legge di bilancio nazionale è finalizzata al reintegro delle risorse stanziate per la tornata contrattuale 2016-2018 ed utilizzate per l’elemento perequativo una tantum, mentre la disposizione regionale incrementa le risorse destinate al trattamento economico accessorio in violazione dei limiti di spesa previsti dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2107 e, in quanto tali, in misura eccedente agli incrementi previsti per i contratti collettivi nazionali».
Il Governo, a tal proposito, rammenta  come dopo la sottoscrizione del primo accordo del 14 gennaio 2021, la Regione Siciliana abbia disposto in materia di incremento del trattamento accessorio del personale in palese contrasto con le finalità dell’accordo stesso, indirizzate al contenimento di tale spesa, ivi incluso il trattamento accessorio, e che tali disposizioni sono state tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte con le sentenze nn. 190 e 200 del 2022
IL Governo richiama altresì «i consolidati orientamenti della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che gli interventi finalizzati al contenimento della spesa pubblica costituiscono principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obiettivi di riequilibrio, rilevando altresì che “[…..] la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto stabilità interna (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale (Corte Costituzionale - sentenza n. 69 del 2011, che richiama la sentenza n. 169 del 2007)».

2. La seconda disposizione impugnata è l’articolo 25, comma 2 contenente “Abrogazioni e modifiche di norme” che, attraverso una novella del comma 1 dell’articolo 20 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30 riconosce, a decorrere dal 20 gennaio 2024 e con applicabilità dal 1° gennaio 2024 (ai sensi del combinato disposto dell'art. 28, comma I e dell'art. 27, comma 2, della medesima legge), la nuova natura del Centro di formazione (CEFPAS) di Caltanissetta - per la formazione permanente e l'aggiornamento del personale del servizio sanitario - quale ente del Servizio sanitario regionale cui la Regione affiderà in maniera centralizzata servizi e funzioni a supporto delle aziende e degli enti che erogano prestazioni sanitarie.

La disposizione è impugnata per la presunta violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione alla norma interposta di cui all’articolo 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, nonché, sotto altro profilo, alla norma di cui all’articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, per violazione del principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica.
Il Governo premette che «le funzioni del CEFPAS non sono riconducibili a funzioni sanitarie in senso stretto, richiamando sul punto la sent. n. 172/2018 della Corte costituzionale, e che gli enti del servizio sanitario nazionale sono già indicati dal legislatore statale all’articolo 19 del decreto legislativo n. 118/2011, l’inclusione del CEFPAS (ente strumentale della Regione Sicilia) nel perimetro sanitario finisce per estendere l’area stessa di tale perimetro, tracciato, peraltro, anche dalla disciplina contabile nazionale di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, incidendo, innanzitutto sulle modalità e quantità del finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

Prosegue il Governo richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale «ha affermato che la disciplina concernente il c.d. «perimetro sanitario» stabilisce le condizioni, non derogabili dalla legislazione regionale, per l'individuazione e l'allocazione delle risorse destinate a garantire i livelli essenziali delle prestazioni (sentenza Corte Cost. n. 132 del 2021).), con conseguente impossibilità di destinare risorse correnti a spese diverse da quelle quantificate per la copertura dei LEA». La norma regionale violerebbe l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla norma interposta di cui all’articolo 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, «poiché estende il perimetro sanitario, ponendosi in contrasto con il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica».
Secondo il Governo «La norma regionale in esame (…) non pone in alcun rapporto di immediata e diretta destinazione all’erogazione di servizi sanitari afferenti ai LEA il trasferimento di risorse dal FSR, così da alterare la struttura del perimetro sanitario prescritto dal citato art. 20. Peraltro, l’inserimento del CEFPAS (ente strumentale della Regione Sicilia) nel perimetro sanitario determinerebbe un trattamento contabile derogatorio per tutta una serie di spese, in quanto andrebbe ad essere disciplinato dal titolo II d.lgs. 118/2011».
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale riguarderebbe, rileva il Governo, la presunta violazione degli articoli contenuti nel Titolo I - "Ordinamento" del d.lgs. 30/12/1992, n. 502 e la normativa in materia di Piano di rientro, «considerato che il riconoscimento di un ente di diritto pubblico quale ente del SSR potrebbe generare un incremento di costi non quantificato e non compatibile con l'equilibrio economico finanziario del bilancio sanitario della regione impegnata nel Piano di rientro»
Ed infatti per la Regione, impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario, «la vincolatività del Programma operativo di consolidamento e sviluppo è da considerarsi, come noto, espressione del principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009 (cfr. per tutte Corte Cost. sent. n. 104 del 2013)».
Sicché, prosegue il Governo, «qualsiasi eventuale modifica della programmazione sanitaria deve passare attraverso un aggiornamento del Programma Operativo 2023-2025, anche e soprattutto allo scopo di valutarne la compatibilità economica, con conseguente previa valutazione dei Ministeri affiancanti».
A ciò si aggiunga la previsione dell'articolo 2, comma 80, della legge 191/2009  che ritiene cogenti gli interventi individuati dal Piano di rientro, vincolanti per la Regione obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che possano essere di ostacolo alla piena attuazione del suddetto piano.
Infine, conclude il Governo, «la qualificazione compiuta dall'art. 25 della legge regionale di che trattasi, implica il rischio che si configuri per la regione una violazione del divieto di spese non obbligatorie, ai sensi dell'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed ai sensi dell'art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n, 191».
Come, infatti, affermato, dalla Corte Costituzionale «l'assoggettamento ai vincoli dei piani di rientro dal disavanzo sanitario impedisce la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali e per spese, dunque, non obbligatorie (sentenze n. 142 e n.36 del 2021, e n. 166 del 2020). È stato, altresì, chiarito che i predetti vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2021, n. 130, n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019)».

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