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Il 26 novembre 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la Direttiva 2014/104/UE, recante “norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea”.[1] La direttiva mira a rendere effettivo il diritto al risarcimento dei danni spettante alle vittime di violazioni dei divieti posti dagli artt. 101 e 102 TFUE, in materia, rispettivamente, di intese restrittive della concorrenza e abuso della posizione dominante. In tal modo, la direttiva intende rafforzare il private enforcement della normativa antitrust. Come noto, l’applicazione di quest’ultima ha ormai carattere decentrato, essendo affidata non solo alla Commissione europea ma anche alle autorità nazionali garanti della concorrenza e ai giudici nazionali. Mentre la Commissione e le autorità antitrust concorrono al public enforcement delle regole di concorrenza, l’applicazione a livello privatistico delle stesse, intesa come tutela dei diritti soggettivi che scaturiscono dagli artt. 101 e 102 TFUE, è affidata ai giudici nazionali. Poiché l’art. 19, par. 1, TUE richiede agli Stati membri di stabilire i mezzi necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto UE, gli stessi devono predisporre norme procedurali idonee a garantire l’effettivo esercizio del diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione delle suddette disposizioni.

Sebbene il diritto dell’Unione non contempli, allo stato attuale, alcun principio generale che vieta la discriminazione per motivi di obesità in quanto tale, l’obesità può però rilevare ai fini della nozione di “handicap” di cui all’art. 19 TFUE e alla direttiva 2000/78/CE; in tal caso, incombe sulla parte convenuta l’onere di dimostrare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento

Il signor Kaltoft ha lavorato per vari anni come babysitter presso una amministrazione pubblica danese, prima con contratto a tempo determinato e successivamente a tempo indeterminato. È un dato non contestato che durante questo periodo il lavoratore era affetto da obesità ai sensi della definizione della stessa fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità. Quando il datore di lavoro procede al licenziamento, motivando in relazione al calo del numero dei bambini per i quali era richiesto il servizio di babysitting, il signor Kaltoft ha proposto ricorso lamentando il carattere discriminatorio del ricorso. A suo avviso, la scelta di licenziare lui piuttosto che un altro babysitter alle dipendenze della stessa pubblica amministrazione sarebbe stata determinata dalla sua condizione patologica di obesità.

L’accordo sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non è compatibile con l’articolo 6, paragrafo 2, TUE, né con il Protocollo (n. 8) relativo all’articolo 6, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’Unione europea non può pertanto aderire alla Convenzione sulla base di questo accordo.

Facendo seguito alla domanda proposta dalla Commissione europea ex art. 218(11) TFUE, il 18 dicembre 2014 la Corte di giustizia ha reso un parere negativo circa la compatibilità con il diritto UE del Progetto di accordo di adesione dell’Unione alla CEDU.

Scheda n. 1

Statuti e rappresentanza processuale dell’ente

CASS. CIVILE, sez. VI, 15 ottobre 2015, n. 20905.

La sentenza si richiama all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte in ordine al principio di diritto secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l'ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l'ufficio tributi; mentre il cit. art. 3 bis, comma 2, estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali” (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14637 del 22/06/2007; conformi: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10832 del 28/06/2012, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6807 del 20/03/2009).

Osservatorio sulle fonti

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