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Con la legge 14 giugno 2021, n. 14, l’Italia ha autorizzato l’istituzione della zona economica esclusiva (ZEE)[1]. L’art. 1(3) della legge del 14 giugno prevede che i limiti esterni della zona economica esclusiva italiana siano determinati sulla base di accordi con gli Stati il cui territorio è adiacente o fronteggia quello dell’Italia, soggetti alla procedura di autorizzazione alla ratifica del Presidente della Repubblica secondo l’art. 87 Cost.

Con la sentenza n. 111, pubblicata il 5 giugno 2023, la Corte costituzionale (redattore F. Viganò), ha accolto le questioni di legittimità costituzionali avanzate dal Tribunale di Firenze, relativamente agli articoli 64, terzo comma, cod. proc. pen. e 495 cod. pen., per contrasto con l’art. 24 Cost.

Il Tribunale di Firenze doveva decidere sulla responsabilità penale di un imputato per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità o le proprie qualità previsto dall’art. 495 cod. pen., che - accompagnato in Questura per l’identificazione nell’ambito di un procedimento penale - aveva dichiarato alla polizia di non avere mai subito condanne, senza essere stato avvertito della facoltà di non rispondere. Successivamente era emerso che, in realtà, quella persona era stata già condannata due volte in via definitiva. Il giudice rimettente aveva osservato che il codice di procedura penale, così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, richiede che ogni persona sottoposta a indagini sia avvertita della propria facoltà di non rispondere soltanto alle domande relative al fatto di cui è accusata, ma non alle domande relative alle circostanze personali elencate all’art. 21 disp. att. cod. proc. pen.: e cioè, tra l’altro, se abbia un soprannome, quali siano le sue condizioni patrimoniali, familiari, sociali, se eserciti uffici o servizi pubblici o ricopra cariche pubbliche, e ancora se abbia già riportato condanne penali. Il Tribunale aveva, allora, chiesto alla Corte costituzionale se questa disciplina fosse compatibile con la dimensione costituzionale del cosiddetto diritto al silenzio, che è parte del diritto di difesa riconosciuto, tra l’altro, dall’art. 24 Cost., dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), adottato in seno alle Nazioni Unite.

Con la sentenza n. 8268 del 22 marzo 2023, la Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite Civili veniva chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’accertamento dei rapporti tra l’azione di disconoscimento della paternità (azione con cui si contesta lo status di figlio) e quella di dichiarazione giudiziale di paternità (azione che tende a conseguire lo status di figlio). In specie, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., la Procura generale della Corte di Cassazione chiedeva l’enunciazione del seguente principio di diritto: «il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.».

Il lungo e quanto mai incerto percorso di adesione formale dell’Unione alla Cedu ha raggiunto recentemente una tappa significativa davvero non scontata. Il 17 marzo scorso è stato concluso un nuovo progetto di accordo grazie al quale l’ipotesi di un’adesione torna ad essere una prospettiva realistica[1].

L’art. 6, par. 2, TUE[2] stabilisce un vero e proprio obbligo a carico dell’Unione di procedere in questa direzione e, in infetti, un primo tentativo si era registrato già all’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Come si ricorderà, il negoziato protrattosi per circa tre anni aveva portato nel luglio del 2013 all’adozione del primo progetto di accordo di adesione. Quest’ultimo, sottoposto dalla Commissione al vaglio della Corte di giustizia, attraverso lo strumento previsto dall’art. 218, par. 11, TFUE, era stato dichiarato incompatibile con il diritto dell’Unione. Per il suo contenuto, il parere 2/13[3] ha costituito una battuta di arresto di portata tale da determinare l’abbandono del negoziato per circa sei anni, facendo addirittura dubitare della possibilità di realizzare l’adesione formale alla Cedu. La finalizzazione del nuovo progetto di accordo è dunque un risultato provvisorio ma di assoluta rilevanza nel quadro dei rapporti dell’Unione con la Convenzione.

Sentenza della Corte di giustizia del 17 maggio 2023, BK e ZhP (Suspension partielle de la procédure au principal), causa 172/22, ECLI:EU:C:2023:416

Nella sentenza BK, la Corte di giustizia ha chiarito se e a quali condizioni il giudice del rinvio possa continuare a esaminare la causa di cui è investito, anche dopo aver sollevato un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia e in attesa della sua pronuncia.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 giugno 2023, O.G., Causa C‑700/21, ECLI:EU:C:2023:444

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, pronunciandosi a seguito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, ha affermato che il principio di uguaglianza dinanzi alla legge di cui all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osta alla normativa di uno Stato membro che limita il beneficio di un motivo facoltativo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo ai cittadini nazionali e di altri Stati membri, escludendo invece in modo automatico qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro. La Corte di giustizia ha altresì precisato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, al contrario, poter procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione del cittadino di paese terzo destinatario del mandato (legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici, natura, durata e condizioni del soggiorno). Questa valutazione deve condurre a stabilire l’esistenza di un sufficiente grado di integrazione del cittadino di paese terzo nello Stato ospitante, cosicché l’esecuzione in detto Stato membro della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue successive possibilità di reinserimento sociale.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 18 aprile 2023, E.D.L., Causa C‑699/21, ECLI: ECLI:EU:C:2023:295

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, statuendo in seguito a rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, si è nuovamente pronunciata sul rapporto tra fiducia reciproca e tutela dei diritti fondamentali e, in particolare, sulla situazione in cui la protezione di tali diritti impone di non eseguire un mandato di arresto europeo per una ragione non prevista dalla decisione quadro in materia. La pronuncia riguarda, nello specifico, l’ipotesi in cui il ricercato sia affetto da una grave patologia cronica e di durata indeterminata e la consegna possa esporlo al rischio di subire una riduzione significativa della sua aspettativa di vita o un deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del suo stato di salute, tali da configurare un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Grande Sezione ha, innanzitutto, precisato che un’interpretazione della decisione quadro alla luce di tale disposizione, impone di ritenere che, nell’ipotesi richiamata, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a sospendere temporaneamente la consegna e richiedere all’autorità emittente garanzie volte a evitare il materializzarsi del suddetto rischio. Qualora, alla luce delle informazioni ricevute, tale rischio non possa escludersi entro un termine ragionevole, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà rifiutare di dare esecuzione al mandato.

Premessa
L’esperienza della XIX legislatura della Repubblica italiana ha inizio in data 13 ottobre 2022. Questa legislatura rappresenta la prima a vedere applicati gli effetti derivanti dall’esito positivo del referendum costituzionale del 2020 sul cd. “taglio dei parlamentari”. Gli equilibri del nuovo Parlamento sono stati, pertanto, ridisegnati dalla riduzione del numero dei parlamentari (400) e dei senatori (200, a cui si aggiungono i senatori a vita), quest’ultimi eletti da un corpo elettorale più ampio di quello precedente e facente riferimento a giovani con meno di 25 anni. Il primo esecutivo della XIX legislatura, governo Meloni, ha prestato giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica il 22 ottobre 2022.

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Con la Legge Costituzionale n. 2 del 7 novembre 2022, recante “Modifica all’art. 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’Insularità” è stato inserito un nuovo comma nell’articolo 119 della Costituzione: «la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità».

Tale innovazione mira a promuovere e garantire le peculiarità di tali territori sotto molteplici profili quali quello storico e naturalistico (cfr. https://www.riformeistituzionali.gov.it/it/pubblicata-la-legge-costituzionale-sullinsularita/). Indubbiamente tali territori scontano problemi demografici nonché di collegamento territoriale, ciò che può incidere sull’esercizio di libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione. Tale previsione mira a garantire l’effettività dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della eguaglianza sostanziale, nonché dei doveri di solidarietà ex art. 2 Cost. Tale previsione potrà quindi rappresentare un parametro per valutare la legittimità delle leggi ed il legislatore dovrà tener conto della riforma in vari ambiti: infrastrutture, fiscalità, trasporti, finanziamenti maggiori per la garanzia dei servizi pubblici.

Fascicolo n. 3/2023

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Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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