Fonti internazionali

La decisione del Comitato delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità in M.S.B C. italia (3/2022)

Il 26 agosto 2022 il Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità (Committee on the Rights of Persons with Disabilities) ha adottato la decisione sul caso M.S.B. c. Italia. La ricorrente, la signora Maria Simona Bellini, si era rivolta al Comitato presentando una comunicazione il 28 marzo 2017, lamentando la violazione da parte dell’Italia dei diritti sanciti nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD, 2006) sia nei propri confronti che nei confronti della figlia e del partner di quest’ultima, entrambi persone con disabilità, e a cui M.S.B. prestava assistenza continuativa.

Per prendersi cura di sua figlia e del suo partner mentre guadagnava un reddito per sostenere l’intera famiglia, M.S.B. ha lavorato da casa tramite telelavoro dal 2013 al 2017 fino a quando non le è stato più permesso di continuare il suo lavoro da remoto. Poiché l’ordinamento italiano non prevede alcuna tutela giuridica per i ‘caregiver’ familiari in materia di pensione assistenziale, indennità o malattia, M.S.B. non aveva diritto a ricevere alcun compenso o sostegno economico (para. 2.4 e 2.8 della Decisione). La ricorrente sosteneva dunque che la mancanza di riconoscimento legale e di supporto alle persone che prestano assistenza a individui con disabilità nel sistema giuridico italiano costituivano una violazione dei propri diritti e dei diritti della figlia e del partner ai sensi degli articoli 5 (uguaglianza e non discriminazione), 8 (accrescimento della consapevolezza), 12 (uguale riconoscimento davanti alla legge), 16 (diritto a non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti), 19 (vita indipendente ed inclusione nella società), 23 (rispetto del domicilio e della famiglia), 25 (salute) e 28 (adeguati livelli di vita e protezione sociale) della Convenzione CRPD (para. 3.1 della Decisione).

Per quanto riguarda le questioni di ammissibilità, il Comitato ha rigettato l’eccezione del governo italiano circa il mancato esaurimento dei ricorsi interni. Secondo il Comitato, infatti, la ricorrente non aveva prospettive di rimedio effettive nell’appellare le decisioni del tribunale di Milano e del tribunale di Roma, rispettivamente del 15 luglio e del 14 ottobre 2014. Il Tribunale di Milano aveva infatti esplicitamente riconosciuto l’esistenza di un problema strutturale nel sistema giuridico italiano dato dalla mancanza di tutela dei caregivers di persone con disabilità, problema che non poteva risolversi per via giudiziaria ma soltanto legislativa. Il Comitato ha rigettato anche l’eccezione di inammissibilità del governo italiano basata sul fatto che la ricorrente poteva chiedere che le venisse applicata la protezione garantita dalla legge no. 67 del 1° marzo 2006. Tale legge si applica a procedimenti riguardanti presupposte discriminazioni nei confronti di persone con disabilità sul luogo di lavoro o per l’accesso al mondo del lavoro, e non alla situazione della ricorrente e della sua famiglia, ovvero in relazione al riconoscimento giuridico della figura dei caregivers (paras. 6.3, 6.4, 6.5 della decisione del Comitato).

Sempre con riferimento alla ammissibilità del ricorso, il Comitato si è espresso circa la possibilità di includere nella protezione offerta dalla Convenzione i diritti di persone diverse da quelle affette da disabilità e se quindi si può ammettere un ricorso in merito alla violazione di questi ultimi diritti ai sensi dell’art. 1 del Protocollo opzionale. Il Comitato ha riconosciuto che sebbene lo scopo della Convenzione sia quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento dei diritti umani da parte delle persone con disabilità (art. 1 della Convenzione), tale scopo spesso non può essere assicurato senza la partecipazione dei caregivers. A tal riguardo il Comitato cita il Preambolo (x) della Convenzione, secondo cui: “the family is the natural and fundamental group unit of society and is entitled to protection by society and the State, and that persons with disabilities and their family members should receive the necessary protection and assistance to enable families to contribute towards the full and equal enjoyment of the rights of persons with disabilities”. Il Comitato basa tuttavia la sua argomentazione fondamentalmente sull’art. 28(2)(c) della CRPD, il quale richiede agli Stati parte “to ensure access by persons with disabilities and their families living in situations of poverty to assistance from the State (..)”. Tale assistenza ovviamente deve essere “indivisibly linked to the protection of family members with disabilities” (para. 6.8 della Decisione). Anche secondo il Commento Generale n. 6 (2018) dello stesso Comitato fa riferimento alla “discrimination by association” con l’obiettivo proprio di eradicare qualsiasi forma di discriminazione che fosse collegata (linked) con la disabilità.

Il Comitato, tuttavia, ha limitato la richiesta iniziale della ricorrente di poter agire sia per la violazione dei propri diritti che per i diritti della figlia e del partner al solo art. 28(2)(c). Per quanto riguarda gli artt. 19 e 23, ha riconosciuto infatti soltanto la capacità di agire in nome della figlia e del compagno di lei (v. para. 6.13 della Decisione). Infine, il Comitato ha dichiarato inammissibili tout court le richieste formulate ai sensi degli articoli 8, 12, 16 e 25 a causa di un “lack of substantiation” da parte della ricorrente (v. paras. da 6.10 a 6. 12 della Decisione).

Venendo alle questioni di merito, il Comitato dunque ha riscontrato la violazione da parte dell’Italia degli articoli 19 (diritto ad una vita indipendente e all’inclusione nella comunità), 23 (diritto alla vita in famiglia) e 28 (diritto ad un adeguato livello di vita e protezione sociale) in congiunzione con l’art. 5 della CRPD.

Per quanto riguarda l’art. 19, il Comitato fa riferimento all’interpretazione della norma offerta dal Commento Generale no. 5 (2017) nel quale si enfatizza che lo Stato deve offrire “legislative, administrative, budgetary, judicial, programmatic, promotional and other measures” per la piena realizzazione del diritto delle persone con disabilità a vivere in modo indipendente e ad essere incluse nella comunità. A tale fine è anche necessario mettere i family caregivers nella condizione di poter aiutare i propri familiari con disabilità a realizzare il diritto in questione, ciò include l’erogazione di un servizio di supporto di tipo finanziario. Secondo il Comitato, lo Stato italiano non ha fornito né le adeguate misure legislative, amministrative e di bilancio necessarie alla realizzazione del diritto a vivere in modo indipendente e ad essere inclusi nella comunità delle persone con disabilità, né ha fornito quei servizi di supporto individualizzati alla ricorrente, in quanto caregiver, strumentali alla realizzazione di suddetto diritto da parte della figlia e del partner, in quanto persone con disabilità (para. 7.6 della Decisione). Lo Stato italiano aveva infatti reclamato l’esistenza di alcune misure di supporto previste dalla legislazione italiana ma considerate dal Comitato, d’accordo con la posizione della ricorrente, misure non effettive di sicurezza sociale (para. 7.5 della Decisione). Per questi motivi si è realizzata una violazione dei diritti della figlia della ricorrente e del partner ai sensi dell’art. 19 CRPD.

Per quanto riguarda l’art. 23 della Convenzione, il Comitato ricorda che la norma prevede un obbligo per gli Stati parte di adottare quelle misure nella forma di aiuto finanziario necessarie affinché le persone con disabilità possano vivere in famiglia e non essere collocate in istituti dedicati. Secondo il Comitato, lo Stato italiano non ha fornito alla famiglia “adequate support in their right to home and family” e quindi ha riscontrato la violazione dei diritti della figlia della ricorrente e del partner ai sensi dell’art. 23 CRPD (para. 7.7 della Decisione).

Infine, il Comitato ha riscontrato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 28(2) letto in congiunzione con l’art. 5 CRPD nei confronti della ricorrente e nei confronti della figlia e del partner (v. 7.10 della Decisione). Lo Stato italiano, infatti, non ha adottato quelle misure necessarie a garantire l’accesso, alle persone con disabilità e alle relative famiglie, all’assistenza dello Stato “with disability-related expenses, including adequate training, counselling, financial assistance and respite care” ma anche “appropriate and affordable services, devices and other asssistance for impairment-related requirements, especially for those persons with disabilities who live in poverty”. Il fatto che la ricorrente sia stata privata della possibilità di lavorare da remoto, secondo il Comitato, costituisce una violazione del diritto a non essere discriminati sancito dall’art. 5 della Convenzione, violazione che si ripercuote inevitabilmente sul godimento dei diritti sanciti dall’art. 28. In particolare “the fact that she is not able to access employment in the labour market due to her role as a family caregiver amounts to discrimination by association within the meaning of article 5 of the Convention”. In altre parole, il divieto di discriminazione sancito dalla Convenzione non si applica soltanto in maniera diretta alle persone con disabilità ma anche a quelle persone associate con la persona con disabilità, a maggior ragione quando si lede un altro diritto sostanziale protetto dalla Convenzione quale l’art. 28.

Nelle conclusioni, il Comitato richiama lo Stato italiano a rispettare gli obblighi di cui agli articoli 19, 23, 28 (in congiunzione con l’art. 5) della Convenzione; raccomanda quindi allo Stato di fornire una adeguata compensazione, incluse le spese legali sostenute dalla ricorrente; raccomanda di adottare le misure atte ad assicurare alla famiglia della ricorrente l’accesso a servizi di supporto individualizzati. Più in generale, il Comitato richiede allo Stato italiano di adottare quelle misure necessarie affinché simili violazioni non si verifichino in futuro: fra cui, cambiare la propria legislazione interna, informare le persone con disabilità circa i propri diritti, reindirizzare le risorse da un sistema istituzionalizzato a un sistema “community-based”, nonché aumentare il budget dedicato al supporto di persone con disabilità.

Lo Stato italiano è chiamato a rispondere alla Decisione del Comitato entro sei mesi in forma scritta per rendere note le azioni intraprese dallo stesso alla luce delle raccomandazioni sopramenzionate.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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