Archivio rubriche 2016

Con la sentenza del 4 luglio 2023, n. 159, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo all’art. 43, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con legge 29 giugno 2022.

La decisione dei giudici costituzionali si inserisce nella lunga vicenda dei risarcimenti nei confronti delle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale. Ricordiamo brevemente infatti che nonostante la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2012 (CIG, Jurisdictional immunities of the State (Germany v. Italy: Greece intervening)) e in forza della sentenza della Consulta n. 238 del 2014, le corti interne italiane hanno continuato ad accogliere ricorsi contro la Germania in violazione dell’immunità cognitiva ed esecutiva della stessa.

Con la sentenza n. 8 del 2023 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili, per erroneità del presupposto interpretativo, le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Lecce, sez. lav., in relazione all’art. 2033 c.c. nella parte in cui la norma non prevede l’irripetibilità dell’indebito retributivo o previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) quando le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza di dette somme. In specie, a giudizio dei rimettenti, in presenza di un legittimo affidamento del percettore, la pretesa restitutoria da parte del soggetto pubblico si porrebbe in violazione degli artt. 11 e art. 117, primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. Addiz. CEDU.  

Con la sentenza n. 192 del 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1988, n. 498, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

Con la sentenza n. 22375/2023 pubblicata il 25 luglio 3023, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata, per la prima volta, sulla validità della clausola nota come clausola di roulette russa.

È quest’ultima, una previsione contrattuale originaria della prassi anglo-americana. Tale clausola di cd. antistallo viene inserita di frequente negli statuti societari o all’interno dei patti parasociali, come apposito meccanismo di uscita forzata dalle situazioni di impasse.

Con sentenza del 10 novembre 2022, la prima sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato all’unanimità l’Italia per violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per aver costretto i figli minorenni di I.M. a vedere il padre in incontri settimanali programmati nonostante questo fosse drogato e alcolizzato e fosse accusato di violenza domestica nei confronti della madre, I.M., ed esercitasse comportamenti violenti e minacciosi durante gli stessi incontri con i figli.

Con la sentenza n. 111, pubblicata il 5 giugno 2023, la Corte costituzionale (redattore F. Viganò), ha accolto le questioni di legittimità costituzionali avanzate dal Tribunale di Firenze, relativamente agli articoli 64, terzo comma, cod. proc. pen. e 495 cod. pen., per contrasto con l’art. 24 Cost.

Il Tribunale di Firenze doveva decidere sulla responsabilità penale di un imputato per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità o le proprie qualità previsto dall’art. 495 cod. pen., che - accompagnato in Questura per l’identificazione nell’ambito di un procedimento penale - aveva dichiarato alla polizia di non avere mai subito condanne, senza essere stato avvertito della facoltà di non rispondere. Successivamente era emerso che, in realtà, quella persona era stata già condannata due volte in via definitiva. Il giudice rimettente aveva osservato che il codice di procedura penale, così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, richiede che ogni persona sottoposta a indagini sia avvertita della propria facoltà di non rispondere soltanto alle domande relative al fatto di cui è accusata, ma non alle domande relative alle circostanze personali elencate all’art. 21 disp. att. cod. proc. pen.: e cioè, tra l’altro, se abbia un soprannome, quali siano le sue condizioni patrimoniali, familiari, sociali, se eserciti uffici o servizi pubblici o ricopra cariche pubbliche, e ancora se abbia già riportato condanne penali. Il Tribunale aveva, allora, chiesto alla Corte costituzionale se questa disciplina fosse compatibile con la dimensione costituzionale del cosiddetto diritto al silenzio, che è parte del diritto di difesa riconosciuto, tra l’altro, dall’art. 24 Cost., dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), adottato in seno alle Nazioni Unite.

Il 5 dicembre 2022 il Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, ha pubblicato la sentenza n. 17909/2022, nell’ambito della controversia che vede opposta l’associazione di promozione sociale CasaPound Italia (d’ora in poi “CasaPound”) alla società di diritto irlandese Meta Platforms Ireland Ltd (già Facebook Ireland Ltd, d’ora in poi “Meta”). Il Tribunale di Roma ha rigettato le domande proposte dal movimento neofascista CasaPound e, per l’effetto, ha revocato una precedente ordinanza cautelare a favore di quest’ultimo.

Con la sentenza n. 8268 del 22 marzo 2023, la Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite Civili veniva chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’accertamento dei rapporti tra l’azione di disconoscimento della paternità (azione con cui si contesta lo status di figlio) e quella di dichiarazione giudiziale di paternità (azione che tende a conseguire lo status di figlio). In specie, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., la Procura generale della Corte di Cassazione chiedeva l’enunciazione del seguente principio di diritto: «il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.».

Con la sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022, la Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite Civili è tornata ad occuparsi del riconoscimento del provvedimento straniero che attesta il rapporto filiale tra il cd. genitore d’intenzione e il bambino nato da maternità surrogata.

Di recente, tale materia è stata oggetto di numerose pronunce sia da parte delle più autorevoli Corti nazionali[1] che sovranazionali[2], dal momento che la maternità surrogata implica complesse questioni di diritto.

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