Mario Draghi, nel simposio dei banchieri a Jackson Hole dello scorso agosto, ha posto come condizione di una politica monetaria favorevole dell'UE, che gli Stati apprestino "riforme strutturali" ed ancora pochi giorni fa, in un'audizione al Parlamento europeo, ha ribadito che la ripresa economica dipende anche dalla realizzazione di riforme strutturali che in alcuni Paesi tardano a realizzarsi. In Italia i settori che richiedono un intervento innovatore sono sicuramente plurimi: dalla riforma del lavoro, a quella dell'amministrazione, dalla riforma della giustizia, a quella fiscale.
Nonostante queste oggettive priorità per il superamento di una crisi economica ormai da troppo tempo protrattasi in area EURO ed in particolare in Italia, si continua a parlare della centralità della riforma costituzionale ed elettorale come aspetto preliminare e, se si vuole, anche condizionante tutti gli altri interventi di riforma.
Questa particolare attenzione alle riforme costituzionali che proviene dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio e da varie sedi istituzionali, vede forse "tiepido" quello stesso Parlamento che deve provvedervi, ma che è anche il destinatario primo dell'innovazione. L'innata contraddizione derivante dall'immedesimazione fra riformatore e riformato rende complesso e non privo di ostacoli e freni tutto il processo di riforma costituzionale.