
Respinta dal referendum la riforma costituzionale, la Corte costituzionale affronta alcuni snodi importanti del sistema delle fonti del diritto
1. Premessa
Come i contributi apparsi negli ultimi numeri dell’Osservatorio sulle fonti, oltre che in altre sedi, ben dimostravano, la revisione costituzionale, ove entrata in vigore, avrebbe determinato una serie di effetti assai significativi, quando non dirompenti, sui modi di formazione degli atti normativi primari e sullo stesso sistema delle fonti del diritto. Effetti secondo alcuni negativi o pessimi, secondo altri suscettibili invece di migliorare un quadro che presenta non pochi elementi di criticità (testimoniati, da ultimo, da un decreto-legge “milleproroghe” che, anche per compensare una legge di bilancio approvata, per la prima volta da decenni, in due sole letture parlamentari, ha finito per caricarsi dei contenuti più disparati, ulteriormente e assai significativamente accresciutisi nel corso dell’iter parlamentare della stessa legge di conversione: legge 27 febbraio 2017, n. 19 - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l'esercizio di deleghe legislative").
Non è certamente questa la sede per tornare sul dibattito in proposito, né per domandarsi se e come alcune delle istanze riformatrici possano transitare, sulla base di un consenso auspicabilmente più ampio – invero assai difficile da raccogliere in un momento in cui il sistema politico appare in profondo subbuglio –, su altri canali: regolamenti parlamentari; legislazione ordinaria; e fors’anche alcuni interventi mirati di revisione di singole previsioni costituzionali.
Semmai, va segnalato come la Corte costituzionale, nelle settimane successive alla reiezione della riforma costituzionale, in alcune importanti pronunce, depositate tutte nei primi due mesi del 2017, abbia fornito una serie di indicazioni assai utili per ricostruire i princìpi su cui si regge il sistema delle fonti quo utimur. Il riferimento è all’ordinanza n. 24 del 2017, sui nodi posti dal c.d. “caso Taricco”; alla sentenza n. 26 del 2017, sul referendum abrogativo dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori; e infine, verrebbe da dire ovviamente, alla sentenza n. 35 del 2017, sulla legge elettorale n. 52 del 2015, il c.d. “Italicum”.
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